La medicina è in buona salute?

/ 09.12.2019
di Franco Zambelloni

Recentemente i quotidiani ticinesi hanno riportato notizie sorprendenti relative ai rapporti tra medici e pazienti nel Ticino: l’Ente ospedaliero cantonale ha registrato lo scorso anno 155 casi di insulti e minacce a medici e al personale sociosanitario.

Penso ad alcuni fattori che possono indurre a un comportamento aggressivo nei confronti del personale curante: non è un caso che la maggior parte degli atti aggressivi si registri al pronto soccorso. Ci sono momenti in cui la sala d’attesa è sovraffollata e il soccorso tarda a venire. «Ma perché lo chiamano “pronto soccorso?”», viene naturale di pensare. E l’ansia indotta dal proprio malessere fa desiderare – o addirittura pretendere – d’essere assistiti subito. Poi sorge spontaneo il pensiero dei costi della cassa malati, dei premi in crescita vertiginosa e costante che si è tenuti a versare: e anche questo può indurre a pensare: «Insomma, con quel che pago!...».

Parrebbe, dunque, che il rapporto tra pazienti e operatori sanitari diventi più difficile: i pazienti si fanno sempre più impazienti. Eppure, non si può dubitare – dati statistici alla mano – che le terapie diano in genere buoni risultati. Ma ogni tanto affiora qualche notizia che immediatamente induce inquietudine, sfiducia, pessimismo: un mese fa un quotidiano ticinese riferiva di uno studio che ha rilevato lacune nella qualità delle cure, in particolare nella prescrizione di farmaci; oppure circola la voce di un chirurgo che avrebbe dichiarato operazioni mai eseguite; di uno psichiatra che avrebbe compiuto abusi sessuali su pazienti. Ora, in ogni professione si verificano errori, in ogni mestiere ci sono operatori rigorosi e altri scorretti; ma quando si tratta della medicina, l’attenzione del pubblico è subito allarmata – o indignata – più che per gli altri settori. La cosa è significativa: evidenzia quanto grande sia la fiducia che si tende a riporre nella professione medica, quanto sia fondamentale l’etica in questo settore; e, soprattutto, quanto si voglia continuare a vedere nel medico un solido appiglio alle proprie speranze.

Gli insulti ai medici, del resto, non sono un fenomeno solo d’oggi: la figura del medico è stata tra le più vituperate nel corso della cultura, come appare evidente dalla storia della medicina. Basti pensare a un letterato come Francesco Petrarca, che in uno dei suoi ben quattro libri di Invettive contro un certo medico scriveva: « Fai il tuo mestiere, meccanico, ti prego, se ci riesci; cura i corpi se puoi, e altrimenti uccidi e fatti pagare la mercede del tuo delitto». Anche il termine «meccanico» è spregiativo (lo si ritrova nei Promessi sposi): indicava, un tempo, chi faceva un lavoro manuale – dunque inferiore all’intellettuale, al dotto. Eppure, nei confronti dei medici c’era, in genere, una reverenza analoga a quella riservata ai preti: entrambi erano rifugi di speranza. Ma, se la speranza veniva meno, poteva subentrare la rabbia della delusione.

Al tempo del Petrarca, però, la medicina era una pratica ben poco scientifica, un miscuglio di incerte nozioni di anatomia, magia e alchimia consistente per lo più in esorcismi, salassi e purghe. Nulla di simile alla medicina d’oggi, il cui progresso scientifico e i cui successi sono indubitabili. Non si può dire, dunque, che l’irritazione di alcuni verso operatori del servizio sanitario sia giustificabile in base a una qualità palesemente scadente. Piuttosto, direi che si registra, anche in questo settore, una tendenza ravvisabile in molti aspetti della vita sociale d’oggi: il prevalere dell’individualismo sempre più spinto e l’affievolirsi di quella rispettosa cortesia che un tempo veniva naturale e spontanea nell’intrattenere rapporti sociali. L’individualismo trionfante fa porre il proprio io al di sopra di ogni altro, il che rende più difficile mettersi nei panni altrui, immaginare le difficili condizioni di lavoro di chi pratica cure infermieristiche, comprendere lo stress al quale può essere sottoposto un medico.

Lo stress, appunto: già alcuni anni fa veniva segnalato che la professione medica risultava sempre più stressante, per il numero crescente dei pazienti ma anche a causa delle numerose pratiche burocratiche: due fattori che rischiano di imporre al personale curante una fretta che non si concilia con la corretta pratica medica. Il rapporto empatico con il malato è fondamentale nel percorso terapeutico: il paziente cerca nel medico una solidarietà umana, non la competenza tecnica di un meccanico o di un burocrate.