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La mancanza dell’amore

/ 23.04.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
non riesco a dimenticare una storia finita che è durata 14 anni, ho 50 anni e mi sento triste e soffro ancora molto, ci siamo lasciati un anno e mezzo fa. Cerco di uscire, di fare attività, passeggiate, leggere, a volte mi trovo con qualche amica, ma il pensiero è sempre lì.
Ho provato a chiedere aiuto, ma le cose non sono cambiate.
Chiedo aiuto a Dio, che mi possa aiutare a dimenticare e trovare la pace! Ma credo che anche Lui mi abbia dimenticata. Mi dicono di avere più fede,ma allora mi chiedo cosa devo fare per averla!
Mi sento sempre più stanca e triste.
Una persona malata d’amore! Grazie per avermi ascoltata. / Maria Novella

Cara amica,
forse, in confronto a 14 anni d’amore, 18 mesi per superare il trauma dell’abbandono sono ancora pochi. Ma molto dipende dal temperamento e il tuo, se non sbaglio, dev’essere malinconico: il più esposto alla nostalgia e al rimpianto. Ma vivere così a lungo un’esperienza amorosa, che presumo ricambiata, è già un premio della vita. Pensa che a molti non capita mai, eppure costituisce una condizione di felicità particolarmente preziosa.

Per valutarla con obiettività occorre però assumere un’ottica bipolare e di dirsi contemporaneamente: «quanto ho avuto!» e «quanto ho perso!».

Solo chi non ha nulla non può perdere nulla. In ogni caso la memoria è uno scrigno che conserva intatti i momenti più significativi della nostra storia ed è sempre possibile rammemorarli, attualizzarli, riassaporarli. Nulla è cancellato per sempre, anche quando sembra dimenticato.

Come sono solita ripetere, la nostra identità è effetto, non tanto della vita vissuta, quanto di quella che ci siamo raccontata. Perdonatemi se in proposito cito ancora una volta il mio libro Una bambina senza stella. Potrebbe aiutarti a divenire una buona narratrice di te stessa, capace di evocare il bello e il brutto, la felicità e il dolore, la disperazione e la speranza, sottolineando però gli aspetti positivi, quelli che ci consentono di apprezzare il presente e progettare il futuro.

Giustamente molte persone t’invitano ad avere più fede ma per credere in Dio non basta un atto di volontà, un’intenzione razionale e cosciente. Abbandonarsi alla misericordia divina comporta la capacità di attendere e di affidarsi alla Grazia senza porre condizioni e fissare scadenze, nella convinzione che la fede verrà essendo, il tempo sacro, imperscrutabile.

L’amore umano invece non richiede solo pazienza ma anche azione, intelligenza scaltra, mètis secondo gli antichi Greci. Se mi segui verso le origini della nostra cultura, cercherò di presentarti un esempio significativo. Nel dialogo Il Simposio di Platone, il più grande filosofo dell’antichità, si apre improvvisamente una scena insolita, sconcertante. Durante una cena – un incontro che esclude normalmente le donne – un insigne partecipante, Socrate, interrompe la discussione tra i convitati per evocare una figura femminile, Diotima, una straniera ritenuta sapiente su un argomento quanto mai controverso: l’amore.

Per Diotima l’amore è figlio di due elementi: penia ed espediente, in altri termini della mancanza e della curiosità attiva, creativa, capace di uscire dal bisogno cogliendo ogni opportunità, valorizzando ogni risorsa.

Quanto alla mancanza, stai facendo la cosa giusta: tradurla in domanda. Una domanda di consapevolezza che al tempo stesso accolgo e ti rinvio perché è in te che potrai trovare, quando sarà il momento, il desiderio di esporti, di aprire le porte della mente e del cuore a un eventuale incontro. Il mondo è pieno di anime solitarie che si cercano ma che rischiano di girare a vuoto se non seguono percorsi convergenti. Non conosco le tue competenze e i tuoi interessi ma per chi vive in quest’epoca, entro o in prossimità di una città, ci sono mille occasioni di ritrovo. Si va dalle associazioni culturali a quelle di divertimento, dall’arte alla politica, dal volontariato al turismo. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. L’importante è compiere il primo passo e uscire dall’isolamento. Il secondo è volersi bene, diventare amici di se stessi, anche guardandosi con una certa ironia.

Certe volte a noi donne basta cambiare pettinatura, indossare un abito nuovo, infilare occhiali dalle lenti colorate per migliorare l’autostima e provare il desiderio di essere guardate e ammirate.

Quello che va sconfitto è il bambino esigente che permane in noi, il neonato insofferente che tutto vuole, che tutto pretende. Ma l’amore tra adulti, anche se non si può esigere, si può sempre propiziare. Spesso con successo. Ora è primavera, auguri Maria Novella!