Gentile Signora Silvia,
penso che lei abbia seguito il dibattito accaduto a Roma sulle minigonne delle studentesse delle Superiori, ragazze tra i 14 e i 18 anni. E, successivamente a Ginevra, dove il caso riguarda ragazzi che pretendono di frequentare la scuola con un abbigliamento inadeguato: pantaloni a vita bassa da cui emergono le mutande, jeans stracciati, magliette succinte o con scritte provocatorie. A molti può sembrare una questione superflua nel momento in cui il mondo sta affrontando una pandemia senza precedenti, una catastrofe che rischia di provocare, per milioni di persone, emarginazione e miseria.
Benché consapevoli che i problemi sono altri, nella nostra famiglia il caso si pone ogni mattina quando Marta, la nostra unica figlia, esce di casa per recarsi a scuola con una minigonna, moderata da collant neri ma comunque un po’ succinta. Sottolineo che Marta è buona, gentile, ha ottimi voti e si dedica al nuoto con successo. L’insegnante più tradizionalista l’ha già ripresa mentre gli altri non si pronunciano. Mio marito ne fa invece una questione di principio e vorrebbe che le autorità scolastiche obbligassero tutti gli alunni a indossare una divisa, come facevano i suoi genitori. Stanca di essere coinvolta in un litigio che logora l’armonia della nostra famiglia, vorrei conoscere il suo saggio parere. Grazie. / Norma
Cara Norma,
grazie della fiducia che accorda alla mia capacità di risolvere un conflitto generazionale ancor prima che scolastico e familiare. Un conflitto che un tempo restava latente e che, dopo il ’68, ha assunto invece, con pretesti diversi, nuova visibilità.
Appartengo alla generazione dei nonni di Marta e, come vorrebbe suo marito, ho indossato il grembiule dall’asilo alla Laurea, conseguita all’Università Cattolica di Milano. Benché ai maschi la divisa fosse richiesta solo alle elementari, tutt’al più alle medie inferiori, non mi sarei mai sognata di protestare. La morale tradizionale imponeva una netta differenza tra maschi e femmine, tanto che molte scuole conservano ancora tracce di ingressi separati per bambine e bambini. Valeva comunque per tutti una morale autoritaria che non dava giustificazioni né motivazioni: «Si è sempre fatto così. Punto e basta!».
Un imperativo che provocava condotte passive e comportamenti obbedienti adatti a una società di massa e a lavori esecutivi come quelli richiesti dalle catene di montaggio delle grandi fabbriche. Ma in regimi di economia avanzata servono piuttosto mentalità non convenzionali, proposte creative, pensiero critico, capacità di trovare soluzioni nuove a problemi vecchi. Insomma persone in grado di autoregolarsi secondo i propri valori e i propri desideri.
Una esigenza che, di fronte a una istituzione tradizionale come la Scuola, incapace di cogliere le trasformazioni della società, può trovare una forma di rappresentazione nell’abbigliamento trasgressivo. Con questo non credo che la scuola debba adeguarsi a tutti i cambiamenti, una certa inattualità è necessaria alla conservazione e alla trasmissione dei valori del passato. Come istituzione educativa le è però richiesto di comprendere che cosa, al di là delle apparenze e delle provocazioni, reclamano gli alunni.
La giustificazione della vicepreside del Liceo romano di proibire le minigonne perché si sa che «i prof guardano in basso» mi sembra, oltre che volgare, offensiva per la categoria dei docenti e per la dignità della Scuola. Ma anche l’iniziativa di imporre ai ribelli ginevrini felpe di taglia XXL, le «t-shirt della vergogna», mi sembra più punitiva che educativa. Sarebbe piuttosto l’occasione di aprire un dialogo e stimolare un confronto tra tutte le componenti della scuola. Esibendo quei pochi centimetri di corpo scoperto credo che i ragazzi esprimano un desiderio di libertà, di autonomia, di emancipazione e di ascolto. Certamente esagerano – l’adolescenza è l’età degli eccessi – ma discutendo tra di loro e con gli insegnanti potrebbero scoprire il senso del limite e della misura, ammettere che la libertà dell’uno finisce quando inizia la libertà dell’altro.
Mi sembra che in questi frangenti l’idea migliore sia stata quella del Centro professionale tecnico di Mendrisio, soprattutto maschile, che ha organizzato un sondaggio su che cosa debba essere considerato consono alla Scuola coinvolgendo docenti, studenti e personale amministrativo.
Le risposte dei ragazzi, di 15-20, anni pare siano state equilibrate. Bisognerebbe ora fare altrettanto con le studentesse cercando poi per tutti, al di là dei dati statistici, di chiarire le motivazioni personali. Sarebbe anche una buona occasione per invitarli, come detentori del futuro, a immaginare quale società vorrebbero costruire.
La riflessione collettiva dovrebbe poi coinvolgere anche le famiglie, spesso tentate di risolvere una questione così complessa con decisioni autoritarie, come la divisa scolastica auspicata da suo marito. Un’imposizione, non solo inutile ma, a mio avviso, controproducente in quanto alimenterebbe un conflitto tra generazioni a danno di tutta la comunità.