Non passa giorno che il ministro italiano dell’Interno non pronunci, coram populo, una frase in lombardo («lumbard»). La politica pane-al-pane («pan-al-pan») non può fare a meno del pane di casa («el pan de cà»). A Pinzolo, in Trentino, a chi accusa il suo governo di non aver fatto ancora niente («un bel gnent»), Matteo Salvini (–6 sulla sfiducia) ha risposto a brutto muso: «Ma sem chì da dü mes!», siamo qui solo da due mesi. Sorvolando sul fatto che i mesi sono tre, va riconosciuto che il ministro dell’Interno ha, negli anni, manifestato una sua ammirevole (e fiera) fedeltà al vernacolo («el vernàcul»?), ben sapendo che la questione della lingua è, anche, una questione politica («na roba de pulitica»).
In vista di un 4 Novembre (Festa italiana dell’Unità Nazionale) annunciò che quel giorno TelePadania si sarebbe occupata solo di storia, cultura e lingua padane; nel 2009 si dichiarò favorevole alla messa in dialetto perché, chissà come, «attirerebbe i giovani»; nel 2015 perorò la causa di un telegiornale dialettale perché, chissà come, «attirerebbe gli anziani». Ma in genere, Salvini utilizza volentieri, da sempre, espressioni e costruzioni regionali: non dice «ho preso la valigia» ma «ho preso su la valigia…». E se c’è da mandare un messaggio ammonitorio a un avversario, urla («vusa»): «Ma va’ a da’ via i pè!», ma vai a dar via i piedi (con sorprendente attenuazione finale: i piedi e non altro). Non esitando a ricordare: «Io penso in dialetto perché sono popolano» («un fioeu del pòpul»), in linea con il magistero del suo odiato-amato mentore, l’ex Senatur Umberto Bossi, autentico «sdoganatore» («sdoganatùr»?) del dialètt, ovvero «la lingua de la gent», in politica.
Un letterato del ’700, suo omonimo, Anton Maria Salvini (6 sulla fiducia), avvertiva che «i vostri natii dialetti vi costituiscono cittadini delle sole vostre città; il dialetto toscano appreso da voi, ricevuto, abbracciato, vi fa cittadini d’Italia». Il «toscano» è l’italiano in cui volle, non a caso, risciacquarsi persino il lumbard Manzoni. E se quel Salvini fosse un antenato del leader leghista? Del resto il suo cognome è diffuso in Toscana e nel Lazio almeno quanto in Lombardia, oltre a essere presente in molti paesi europei, in Argentina, in Brasile e persino in Algeria (vuoi vedere che anche i Salvini sono stati migranti, nomadi, balùba tra i balùba?).
Nel 1965, Italo Calvino scrisse un saggio sull’antilingua della burocrazia: era il registro ingessato del più tipico dei brigadieri che invece di scrivere che la bottiglieria di sopra era stata scassinata, denunciava «l’effrazione dell’esercizio sovrastante»… Adottava quel linguaggio assurdo per il terrore di dire pane al pane, vino al vino, bottiglia alla bottiglia. Oggi l’antilingua è l’opposto speculare: al brigadiere che voleva darsi un tono istruito o persino troppo formale (fino a usare burocratismi ridicoli) si è sostituito il politico che vuole apparire popolano («fioeu del pòpul») fino a usare dialettalismi o regionalismi altrettanto ridicoli. Il ministro Salvini direbbe fieramente (su facebook ma anche in tv) che «un bastardo ha preso su e portato via una caterva de fiàsc de vin…». Il dialetto artificiale è diventato antilingua politica. Rob de matt! Calvino non ci crederebbe.
Volendo assecondare ed emulare il suo socio leghista, anche Luigi Di Maio (3––), il vice premier pentastellare, ha detto fieramente stop alla lingua italiana della Prima e Seconda Repubblica. Se governo del cambiamento deve essere, si cambino finalmente anche i vecchi sistemi morfologici e sintattici imposti dai poteri forti. E a chi lo criticava, ha risposto: «Non ho nulla di cui scusarsi, se non si dovrebbero scusare quei radical-chic che mi attaccano». Il congiuntivo? Un retaggio dell’establishment economico.
E non ha avuto dubbi, Di Maio, a chiarire la sua posizione sul programma da perseguire in fatto di tempi e modi verbali: «Il movimento ha sempre detto che noi volessimo fare un referendum». Fiero (anche lui è sempre fiero) della sua mancata laurea in Giurisprudenza (anche Salvini è fiero della sua mancata laurea in Scienze politiche, «roba de pulitica»), subito dopo la costituzione del nuovo governo il neo ministro non ha esitato a dichiarare solennemente in Parlamento a proposito della piccola e media impresa italiana: «Perché altrimenti i miracoli che hanno fatto col made in Italy in tutto il mondo in questi anni non li avrebbero mai raggiunti se...». Se? Vuoi vedere che per sbaglio si lascia sfuggire un congiuntivo banalmente corretto? No, il leader del movimento antisistema non ci sta. Dunque: «…non li avrebbero mai raggiunti se non ci sarebbero stati varie situazioni come questa». Discorso di cristallina chiarezza che la solita opposizione prevenuta e biliosa – rappresentante delle gerontocrazie cruscanti e della finanza grammaticale o della grammatica finanziaria – ha voluto segnare con la matita blu: il blu della bandiera europea, ovviamente.