Marine Le Pen ha lanciato la sua campagna elettorale in vista delle Presidenziali della primavera prossima davanti a 900 attivisti del Front national, al teatro romano di Fréjus, nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. L’incontro era all’aperto, il green pass non era necessario. «Questa è la libertà», sospiravano i partecipanti intervistati dai giornalisti, aspettando l’arrivo della loro beniamina, vestita di bianco e pastello, alle spalle il colore blu che rilancia il Rassemblement national, il partito di Le Pen.
La competizione francese, che è formalmente all’inizio ma che in realtà continua imperterrita dalle scorse elezioni del 2017, sembra un déjà vu: la destra sovranista di Le Pen contro il centro liberale di Emmanuel Macron, il presidente. Ma questa è una lettura superficiale della politica francese di oggi, o almeno, lo è in questo momento in cui ci sono molti leader che stanno cercando di posizionarsi ai blocchi di partenza. Anche la volta scorsa la situazione era simile, anzi, di questi tempi cinque anni fa Macron era sotto il dieci per cento dei consensi e la sua pareva un’ambizione destinata a schiantarsi contro la politica tradizionale francese. Poi le stelle si allinearono e a schiantarsi furono le ambizioni degli altri, in particolare dei guardiani della tradizione, i gollisti a destra e i socialisti a sinistra (che ora scelgono Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, come loro candidata presidenziale). Adesso i poli sono definiti, sono appunto Le Pen e Macron, ma attorno ci sono molte altre figure che aspettano il palcoscenico e la loro occasione. E per lo più stanno a destra.
Marine Le Pen, che ha una grande esperienza, lo sa benissimo e infatti il suo esordio elettorale l’ha costruito proprio per contenere le altre forze che potrebbero rosicchiarle consenso, non tanto o non solo i Républicains (che non hanno ancora scelto il loro candidato e che si muovono in modo molto sparso), quanto piuttosto gli agitatori della destra estrema, cioè i diretti concorrenti. Il più temuto, anche perché è molto conosciuto e popolare, è Eric Zemmour, scrittore e commentatore onnipresente sulla scena mediatica francese. Le Pen ha utilizzato, cercando quindi di fare suo, lo slogan di Zemmour che dà il titolo al sito che lo scrittore ha lanciato all’inizio di settembre e che fa da piattaforma per la sua eventuale candidatura alle presidenziali (che tutti danno per certa, non è ufficiale però): «Croisée des chemins». Siamo a un incrocio culturale e politico decisivo, «tra scivolare verso l’abisso o arrivare all’apice», ha detto Le Pen con il suo tipico tono drammatico-teatrale. Siamo all’incrocio tra una «Francia diluita» e una «Francia sovrana». Dove va la leader del Rassemblement national si sa, ma sulla sua strada non vuole ostacoli, soltanto facilitatori, in particolare se hanno il peso di Zemmour.
Ma il termine di cui Le Pen vuole appropriarsi senza concorrenza alcuna è «libertà». Nel discorso a Fréjus l’ha citata ottantacinque volte, l’ha gridata e ripetuta in modo martellante, prendendo le distanze da un altro agitatore, molto più leggero politicamente ma molto più fastidioso personalmente: il suo ex braccio destro Florian Philippot. Philippot ha lasciato il Rassemblement, fa una sua battaglia solitaria molto seguita più negli ambienti sovranisti europei che in Francia, troppo estrema persino per Le Pen che ha messo in guardia il suo pubblico da posizioni «troppo radicali». Se Philippot è contro la dittatura dei vaccini e dei pass sanitari, la leader del Rn è per la libertà vaccinale e contro il pass. Piccole sfumature, ma per evitare cannibalismi occorre sottolinearle.
L’obiettivo finale della campagna sulla «libertà» è naturalmente Macron, custode del liberalismo francese e in parte europeo. Era difficile immaginare quanti giri immensi potesse fare questo termine passando sulle bocche della destra. La libertà per Le Pen è «il valore francese, il cuore del suo Dna, il filo rosso che permette di unire temi diversi e vasti». Le libertà, secondo questa interpretazione, non sono né pubbliche né fondamentali, ma sono francesi. «Sarò la presidente delle libertà francesi – ha detto – e credetemi, questo cambierà tutto». La libertà è decidere per se stessi, contro i progetti sovranazionali (l’Unione europea), potendo decidere chi entra in Francia, privatizzando l’informazione audiovisiva pubblica (contro il mainstream che rappresenta soltanto «una corrente ideologica»), corteggiando il popolo dei gilet gialli con una declinazione della «libertà di circolazione» in termini di zero pedaggi e zero restrizioni dettate da questioni ambientaliste. E non è un caso che «Le libertà francesi» fosse il titolo della rivista del dopoguerra ispirata all’Azione francese, il movimento monarchico, nazionalista ed euroscettico d’inizio Novecento.
La libertà secondo Marine Le Pen
/ 20.09.2021
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi