Cara Silvia,
leggendo lo scritto sulla Stanza del dialogo dell’8 marzo mi sono permessa di riflettere a lungo prima di scrivere quanto sto scrivendo.
Sono anche io un’insegnante da poco in pensione e con un papà che è venuto a mancare proprio nei primi mesi della mia pensione (preciso che viveva con me e le cure che necessitava mi occupavano molto). Senza potermene accorgere e senza potermi preparare mi son trovata immersa in un gran vuoto.
Le mie figlie vivono lontano e ora la casa è vuota.
Non ho permesso alla mia testa di affliggersi. Ho scoperto che pro Juventute ha bisogno di mentori, la ludoteca del paese ha bisogno di volontari e (questa è più rischiosa perché molto impegnativa e, non spiego qui il perché) mi son impegolata nella politica…. dove cerco di trovare un posto nel quale si agisca, ci sia trasparenza ed azione! Intendo avvengano gesti ed azioni positive per il pianeta ed i suoi abitanti.
Con questo non posso dire di non aver mai avuto le lagrime agli occhi. Quando necessito un momento di malinconia me lo permetto dandomi un tempo e restando o sola o scelgo una persona disponibile.
Siamo in una società all’avanguardia, abbiamo tutto tanto e niente: le nostre emozioni son sempre lì, non vale la pena metterle in mano agli altri perché è pericoloso. Possiamo condividerle ed apprezzare di essere in un luogo dove c’è pace, dove possiamo ancora scegliere.
Queste sono parole che vorrei far arrivare a Gabriella.
Un’ultima cosa. Mia mamma era una donna depressa e questo ha fatto soffrire tutta la famiglia.... non giudico mia madre, scelgo di essere diversa sebbene a volte non sia facile.
Buona giornata! / Beatrice
Cara Beatrice,
le tue parole mi sono giunte forti e chiare e mi hanno colpito particolarmente, tanto che vorrei condividerle con i lettori.
Troppe dichiarazioni esprimono principi generici come «siamo tutti sulla stessa barca», «ci salviamo tutti o nessuno» , «dopo saremo migliori» che suonano apparentemente rassicuranti ma poi si disperdono nel brusio delle tante voci che ci frastornano. Tu invece hai deciso di entrare nella Stanza del dialogo come una persona che vi porta semplicemente la sua esperienza, che dice: «io ho fatto così», senza nascondere difficoltà e momenti di debolezza.
La parola «vuoto» risuona sin dalle prime righe: vuota la casa, vuoto il tuo animo dopo la morte di un padre teneramente amato e con dedizione accudito.
Ma il vuoto non è il nulla e può diventare lo schermo sul quale proiettare il futuro, lungo o breve che sia.
Col tempo il rapporto genitori-figli è destinato a invertirsi e chi ha dato alla fine riceverà. Il padre, la madre inizialmente sovrastano il bambino e appaiono ai suoi occhi eroi inscalfibili ed eterni, eppure viene il momento in cui l’età tarda li rende piccoli e deboli, bisognosi di assistenza e di cura. Rispondendo a questo appello, i figli saldano un debito doveroso. Ma non è solo fatica in quanto dà la sensazione di essere nel giusto, di seguire il naturale succedersi delle generazioni nel ciclo della vita, sino a quando verrà anche per loro il momento di chiedere e ricevere aiuto e conforto.
Ma prima che questo accada vi sono anni in cui i «non più giovani» possono riprendere in mano quel che resta della loro vita. Non per chiudersi in se stessi in un malinconico isolamento ma per aprire un colloquio interiore che li induca a guardare il mondo con occhi nuovi. Finché i figli restano in casa, la famiglia si concentra di solito sui suoi bisogni, sui suoi progetti, ma quando, come nel tuo caso, i ragazzi crescono diventando autonomi e indipendenti, ecco che lo sguardo corre fuori, al di là delle pareti domestiche dove si apre una dimensione più ampia, quella della comunità. Le virtù, le competenze, gli atteggiamenti morali messi a punto nella vita privata possono allora essere spesi nella vita pubblica. Probabilmente l’associazione pro Juventute e la ludoteca c’erano anche prima, ma ora senti che ti riguardano e avverti che hanno bisogno di te. Ci saranno certamente persone che le portano avanti con impegno professionale. Ma il volontariato è un’altra cosa, la gratuità rende totale il dono di sé.
Anch’io, dopo il pensionamento, ho donato le energie residue a istituzioni di cultura e di cura e, anche se sono stanca, mi sento utile e appagata.
L’eccessiva concentrazione sull’io e sul mio, come accade nei casi di narcisismo ed egoismo, finisce con far implodere le energie fisiche e psichiche all’interno dell’organismo provocando malattie psicosomatiche insensibili ai farmaci. Siamo animali socievoli e le relazioni sono il nostro habitat naturale.
Come mostra in modo convincente Beatrice: chi dona riceve.
Se confrontiamo la nostra vita con quella di tante popolazioni che mancano, non solo del superfluo, ma del necessario, ci accorgiamo di quanto siamo fortunati ad abitare la metà del mondo più affluente, meglio organizzata e, seppure con mille carenze, più solidale.
Certo il progresso morale e civile resta incompiuto ed è giusto e opportuno che tu, cara lettrice, impegnata nella dimensione politica della tua città, esorti con l’esempio anche gli altri a scendere in campo.
Tua mamma ha sofferto di depressione e di solito questo malessere si riverbera sulla figlia predisponendola alla depressione. Se questo non è avvenuto è perché hai saputo riconoscere l’incidenza del passato senza lasciartene contagiare. C’è sempre un margine di libertà, uno spiraglio di libero arbitrio che ci permette di decidere chi si vuol essere, che cosa si vuol fare.
In un periodo di emergenza questo è più difficile, ma non impossibile, basta volerlo. Grazie di testimoniarlo.