«C’è tutto un mondo intorno» cantavano i Matia Bazar alla fine degli anni Settanta; a volte però ce ne dimentichiamo. Forse l’ibridazione tra reale e digitale ha irrimediabilmente trasformato la nostra percezione dello spazio. Conosciamo i monumenti più famosi sotto forma di icone, quasi senza legami con il loro contesto. Di tanti luoghi assai noti ignoriamo quel che resta fuori dalla cornice: la luce nelle diverse ore del giorno, le vie intorno, la distanza dal mare o da un fiume. Abbiamo davanti agli occhi Broadway, la strada simbolo di Manhattan, con le luci e i teatri, ma quanti conoscono la sua lunghezza, dove inizia, dove finisce, quali quartieri attraversa?
«Trovare il proprio posto nel mondo» è un’immagine spesso utilizzata per restituire la fatica quotidiana di dare un senso alle nostre vite, ma forse dovremmo prenderla più alla lettera. Conoscere con esattezza la propria posizione nei secoli passati fu quasi un’ossessione, per ragioni molto concrete. Un esempio? Nella prima sera del 22 ottobre 1707 la grande nave da guerra della marina britannica Association si schiantò sugli scogli delle Western Rocks, a sud ovest della Gran Bretagna, lasciando nelle acque gelide dell’Atlantico duemila morti. Il Longitude Act del 1714 offrì un premio di ventimila sterline (equivalenti a un milione e mezzo di euro odierni) a chiunque fosse riuscito a calcolare con esattezza la posizione di una nave in mare aperto. Poiché il sestante già allora consentiva di calcolare la latitudine, ci si concentrò sulla longitudine. Alla fine la spuntò un orologiaio dilettante dello Yorkshire, tale John Harrison, imbarcando sulle navi un orologio che conservasse con esattezza l’ora del luogo di partenza e permettesse dunque un confronto con l’ora locale; perché a dispetto del Tempo Coordinato Universale (UTC), ogni luogo vive in un’ora diversa e il meridiano fondamentale (o meridiano zero), quello che passa per Greenwich, in fondo è solo un riferimento convenzionale…
Sono pensieri sorti in margine alla lettura di La Terra è rotonda, ultima uscita nella collana Cose spiegate bene de «Il Post» (Iperborea editore). Un libro antidoto contro la pigrizia intellettuale: ci ricorda quanto la geografia dovrebbe contare nel mondo globale, prima di tutto nella scuola naturalmente, dove invece è spesso lasciata al margine.
Sono pensieri familiari a ogni viaggiatore. Nonostante le dimensioni strabordanti dell’immaginario turistico, ogni volta che si giunge da qualche parte per la prima volta si ha una sensazione di novità, di presenza, di verità.
A Sarajevo, sul ciglio d’una strada, nel luogo esatto dove il 28 giugno 1914 il giovane Gavrilo Princip sparò all’erede del trono d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando, ho rivissuto tutta la tragica concatenazione di eventi che portò alla Prima guerra mondiale. Lo spazio ridotto – pochi metri – dove divampò quella scintilla sembrava sottolineare per contrasto la vastità dell’incendio.
E se nelle discussioni in rete prevale l’ideologia, il pregiudizio, e ognuno alla fine resta sempre della sua opinione, la lezione del mondo sottolinea invece la diversità delle situazioni, la specificità di ogni storia, il peso del contesto. Lontano dai nostri rassicuranti riferimenti, il particolare si impone regolarmente sull’universale. Come ha scritto il ginevrino Nicolas Bouvier, forse il nostro viaggiatore migliore, strada facendo si impara «ad aprire gli occhi, a drizzare le orecchie, ad arricciare il naso come un coniglio, a prendere sempre la via più breve, a non perdere mai di vista le curve delle donne, il profumo del caprifoglio, l’aroma di un cosciotto arrosto o il canto di un rigogolo».
Il viaggiatore osserva attentamente senza giudicare perché sa che non dispone mai di tutte le informazioni necessarie; sa che molto gli è nascosto, anche quando molto gli è svelato.
La recente pandemia ha drasticamente ridotto i nostri spazi, spesso limitandoli a una stanza soltanto, dalla quale è stato possibile fuggire solo con l’immaginazione. Ora che siamo tornati a viaggiare, è benvenuta questa lezione su quanto il mondo sia grande, sconosciuto, appassionante; soprattutto sempre diverso dai nostri pensieri e desideri.