La leadership di guerra più agguerrita d’Europa

/ 04.04.2022
di Paola Peduzzi

Boris Johnson, premier britannico con uno spiccato senso dell’umorismo, scatta una fotografia precisa della propria leadership in questo momento: sono più popolare a Kiev che a Kensington. Gli ucraini dicono che il premier inglese è il più deciso nel campo della solidarietà, i russi osservano che è il più ostile a loro di tutti gli occidentali, gli abitanti (e i parlamentari) del Regno Unito affermano che Johnson deve prendere in considerazione le dimissioni. È ripartito infatti il famigerato «partygate», lo scandalo legato alle feste a Downing Street ai tempi del Covid: almeno venti persone dell’ufficio del premier sono state multate, secondo quanto riportato dalla polizia, per aver violato le regole anti-pandemia. Non ci sono i nomi, la responsabilità di Johnson è comunque materia di dibattito dal dicembre scorso, da quando cioè sono uscite le foto dei festini e il politico ha adottato una strategia talmente ondivaga da non poter nemmeno essere definita tale.

L’invasione russa dell’Ucraina è cominciata quando il «partygate» era nella sua fase definibile di «cospirazione imminente»: i conservatori si contavano per capire se c’erano i numeri per ribaltare Johnson. Intanto fantasticavano su leadership alternative, si facevano cene cosiddette «di corrente», si chiacchierava moltissimo delle ambizioni del cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, e di quelle della ministra degli Esteri, Liz Truss. Poi Vladimir Putin ha cambiato le priorità e i dibattiti politici di tutto il mondo, così anche Johnson ha potuto mettere nell’angolo la lavagna dei conteggi e tirare fuori i piani militari e di difesa, su cui in effetti il suo atlantismo senza sfumature si esprime al massimo. Inevitabilmente sono cambiati anche gli equilibri nel governo ed è emerso l’alleato del premier più solido in questa fase: il ministro della Difesa Ben Wallace. Cinquantuno anni, un breve periodo da maestro di sci in Austria quando ancora doveva decidere che fare nella vita, Wallace è un militare di carriera, ha lavorato in Irlanda del nord durante i «Troubles», per le Guardie scozzesi, poi si è innamorato della politica, anzi potremmo dire che si è innamorato della politica di Johnson ed è sempre rimasto al suo fianco. Il premio, e pareva quasi un premio personale, è stata la nomina di Wallace al Ministero della difesa, il sogno per un militare come lui. L’invasione russa in Ucraina ha fatto capire che questa nomina non era stata un favore o il sigillo di un’alleanza: Wallace ha denunciato la strategia di Putin con grande vigore, riprendendo l’intelligence americana sui preparativi dell’invasione quando il resto del mondo diceva che questo allarmismo era un po’ isterico, e riprendendo anche il saggio che il presidente russo aveva scritto nel luglio dello scorso anno, il suo manifesto di guerra. Quel che vuol fare Putin è scritto qui, ha detto Wallace: se vogliamo ignorarlo ne pagheremo le conseguenze.

La sintonia tra il ministro e il premier ha fornito le basi per quella che è considerata la leadership di guerra più agguerrita d’Europa. Una settimana prima dell’effettiva invasione russa dell’Ucraina, gli inglesi avevano avviato il ponte aereo per rifornire di armi l’esercito ucraino, in particolare per rifornirli dei lanciamissili anticarro portatili Nlaw. «Grazie a sua maestà!», dicono gli ucraini quando li usano. La retorica britannica è sempre stata molto chiara: dobbiamo fare di tutto per sostenere l’Ucraina contro l’aggressione e Londra è diventata l’unica capitale occidentale in cui la discussione sulla no fly zone a difesa degli ucraini non è stata un tabù. Ogni giorno esperti e ministri valutano se quel che è stato fatto è sufficiente, si discute delle armi nuove che servono all’Ucraina e Johnson lavora anche perché non si sfaldi l’unità occidentale nell’isolare la Russia. Insiste sul fatto che Putin continuerà a «rigirare il coltello» contro gli ucraini e che l’Occidente non deve abbassare la guardia, deve restare volitivo e compatto.

Poi, certo, c’è stato uno scivolone quando Johnson ha dichiarato che la resistenza ucraina somiglia alla resistenza inglese contro l’Europa, la Brexit insomma. La ferita del divorzio del Regno Unito dall’Ue sanguina ancora, ma il premier britannico ha mostrato che la sua eurofobia non ha nulla a che fare con i valori occidentali: sono rilevanti per lui in egual misura, se non forse di più, rispetto agli altri leader europei.