La guerra «illuminata» dalla tv

/ 03.10.2022
di Aldo Grasso

In Ucraina c’è un conflitto armato che dura da otto anni, da quando la Russia, nel 2014, ha invaso e annesso la Crimea. Ma l’invasione russa dell’Ucraina, così come ogni giorno ce la mostra la tv è iniziata alle quattro del mattino del 24 febbraio, ora italiana: l’«operazione militare speciale» annunciata da Vladimir Putin in un discorso in tv si è ben presto rivelata un attacco totale.

«Le fatiche del cronista non fanno notizia» è lo slogan che gli studenti delle scuole di giornalismo dovevano imparare a memoria. Così come non dovrebbero fare notizia le sue paure, le sue incertezze, le sue convinzioni. Eppure in guerra è diverso. È diverso perché i media durante la guerra diventano incandescenti, si nutrono di guerra, crescono con la guerra. Sembra paradossale: la tv generalista pare non occuparsi tanto di scenari di guerra (per quelli ci sono ancora il cinema e le serie televisive), quanto di raccogliere le parole di gente che cerca di sfuggire alla crudeltà degli invasori. È un modo nuovo e fedele di raccontare la guerra, uno stile forse mutato dai social media, segnato da un rapporto empatico, personale con l’intervistato.

Nel 1988, il sociologo francese Paul Virilio, intervistato sugli effetti dei crimini in diretta, prefigurò un mondo completamente «illuminato» dalla tv, un mondo in cui le telecamere, quelle impiegate per la sorveglianza delle banche, dei supermercati e delle metropolitane, sarebbero state ovunque. «Quel giorno – disse – anche un omicidio in diretta non ci stupirà più perché tutto sarà sotto l’occhio della tv». La guerra in Ucraina ha realizzato, in forma paradossale, questa utopia negativa, una specie di pornografia quotidiana dell’orrore con un significativo ribaltamento: se nelle guerre precedenti (dal Vietnam ai bombardamenti di Kabul) la tv tentava di «mostrare» la guerra, ora preferisce mostrare sé stessa nell’atto di riprendere la guerra. È anche probabile che questo tipo di confidenza dipenda dalla familiarità che abbiamo con in grandi racconti di guerra proposti dalla serialità televisiva, dalla sua capacità di prevedere scenari inaspettati. Per esempio, da un punto di vista strettamente legato alla capacità di prevedere quanto sta accadendo in questi mesi sul territorio ucraino è curioso osservare come emergano almeno due approcci radicalmente distinti, capaci di travalicare i confini dei singoli paesi e delle singole produzioni: uno che inserisce la complessa questione dei rapporti tra la Russia e le nazioni confinanti dentro l’universo narrativo classico del thriller internazionale, del mondo distopico che si fa tremendamente reale, e l’altra – indubbiamente più originale – che colloca drammi concreti all’interno di una cornice comedy, di un’ironia amara che aiuta a pungere e riflettere.

Nella prima area, il titolo più rilevante degli ultimi anni è senza dubbio la serie norvegese Occupied (titolo originale: Okkupert, tre stagioni dal 2015); ideata dallo scrittore Jo Nesbø, la serie immagina un futuro prossimo in cui la decisione del primo ministro norvegese (membro del Partito ambientalista) di sospendere la produzione di gas e petrolio innesca un crisi energetica che ben presto si trasforma in emergenza democratica, con le truppe russe che occupano militarmente il paese scandinavo e che dietro il volto autoritario nascondono in realtà un profondo dilemma etico: fino a che punto saremmo disposti ad accettare un’occupazione se il nostro stile di vita non dovesse subire modifiche, anzi dovesse persino migliorare? Saremmo disposti a rinunciare alla nostra agiatezza?

Sull’altro versante, troviamo invece una lettura di previsione della realtà che ha sposato toni comedy, di una leggerezza finalizzata a esorcizzare e al contempo esasperare i timori di un modo in allarmante trasformazione. Il caso più eclatante è senza dubbio la fiction ucraina Servant of the People, in cui l’ancora attore Volodymyr Zelensky si immagina in un percorso che lo porterà a diventare presidente del suo paese; una fantasia che si è tradotta in realtà. Mancano i carri armati e le bombe, la capacità visionaria dell’attore non poteva certo spingersi a tanto, ma tutti i meccanismi del potere e del rapporto tra politica e comunicazione vengono inanellati con una certa puntualità.

Comunque, ogni giorno, di fronte alle immagini che la tv ci offre della guerra come fosse un capitolo inevitabile, si ha la sensazione che non la conoscenza, non il mestiere, non la competenza ci avvicinano alla verità (alla sua rappresentazione) bensì il destarsi delle lacrime che dormono nel nostro profondo.