La guerra in Ucraina, in Europa, dura ormai da sei mesi e il pensiero che possa durare anni, oggi è meno remoto di quello che finisca fra breve. Ci siamo sbagliati un po’ quasi tutti, chi nel non crederla possibile, chi nell’immaginare che sarebbe finita con la capitolazione dell’Ucraina in pochi giorni, chi nel credere che la Russia si sarebbe piegata all’evidenza della sconfitta e al peso delle sanzioni politiche ed economiche, indebolita dalla reazione ucraina armata dagli Stati Uniti. Lo stallo nell’offensiva russa nella parte orientale del paese, confermato dal ministro della difesa Shoigu con l’affermazione che le operazioni subiscono un rallentamento volontario, non deve illuderci che la guerra si spenga, i due contendenti si odiano troppo per non volere la sconfitta totale dell’avversario. Il frequente appello alla liberazione della Crimea da parte ucraina è un panno rosso davanti agli occhi del toro Putin, le distruzioni di depositi di munizioni e di 8 aerei militari della flotta del Mar Nero mostrano la risolutezza e la strategia degli ucraini: negoziati di pace seri sono impossibili oggi. Ed è difficile immaginarli domani.
Gli ucraini ne sono consapevoli, non si fanno illusioni. Mostrano al mondo che vogliono resistere e che possono farlo solo se ricevono e fintanto che riceveranno armi adeguate. Sopportano le decine di migliaia di morti fra militari, volontari e civili, i 6 milioni di profughi, la distruzione di infrastrutture e abitazioni, di dover vivere con la paura, con un senso di lutto. Finché terrà questa resistenza psicologica collettiva, l’Ucraina non si arrenderà. È un’ironia della storia che al Vladimir delle Russie, cresciuto da bullo nelle strade e poi affermatosi come agente segreto, si opponga un Volodimyr diventato famoso in Ucraina per aver impersonato da comico il presidente del paese.
Per il suo passato di commediante, non pochi vedono Zelensky come una semplice marionetta nelle mani americane ed europee. Il primo a sottostimarlo è stato Putin, convinto che sarebbe fuggito all’arrivo dell’armata russa. Invece è rimasto a Kiew, perché intuiva che l’esercito non avrebbe combattuto se lui fosse scappato. Dal 24 febbraio si rivolge tutti i giorni ai suoi cittadini e al mondo, perché sa che una guerra è persa quando viene dimenticata. Ma cruciale è stato il suo atteggiamento alla vigilia e nei primi giorni della guerra. Dalle ricostruzioni del «Washington Post», quando Zelensky si è convinto che l’invasione russa era imminente, pochi giorni prima del 24 febbraio, all’invito degli americani di preparare la popolazione ha risposto che l’annuncio di una guerra avrebbe portato al collasso l’economia e spinto alla fuga ancora più persone, lui invece aveva bisogno che la popolazione reagisse all’invasione prendendo le armi; all’insistenza da parte del suo entourage di mettersi in salvo, che stava rischiando la vita, ha risposto che non voleva pensarci, perché avrebbe equivalso ad essere già morto, e questo non lo avrebbe aiutato a resistere. Come un commediante si è trasformato in presidente guerriero, così migliaia di medici, informatici, imprenditori, lavoratori di ogni professione si sono trasformati in soldati, da un giorno all’altro. Zelensky incarna solo quello che la gran parte della popolazione ucraina è spontaneamente spinta a fare.
Sei mesi dopo noi tutti siamo tuttora di fronte all’imprevedibile, basti pensare al destino della centrale nucleare di Zaporizhia, teatro di bombardamenti, non si sa bene da chi. Anche se si percepisce la tentazione di voler volgere lo sguardo altrove, in un umano benché inutile tentativo di rimozione.