La grande signora del software e altre storie

/ 07.06.2021
di Natascha Fioretti

Non conoscevo Claire L. Evans e non conoscevo Giulia Blasi. Ora grazie al volume Connessione. Storia femminile di internet so che la prima, classe 1984, autrice del libro, è una scrittrice e musicista statunitense, collabora con varie testate tra cui il «Guardian» e «Vice» e fa parte del collettivo cyberfemminista DeepLab. Giulia Blasi, classe 1972, è invece conduttrice e autrice per radio e televisione, femminista attenta alle questioni di genere. Uscito in italiano per Luiss Press, il «Wall Street Journal» lo ha definito un libro che celebra le donne le cui menti hanno dato vita alla scheda madre del computer proponendo una serie di appassionanti ritratti di matematiche, innovatrici e cyberpunk poco note. Vi ricorderete di Aurélie Jean e degli algoritmi. Per aiutarvi pensate alla citazione di Jack Lemmon «Quando arrivi in alto ricordati di mandare giù l’ascensore». Nel suo romanzo, l’esperta di modellizzazione matematica e simulazione numerica raccontava della sua visita all’Università di Harvard dell’autunno del 2011 per ammirare finalmente da vicino Mark I, uno dei primi computer in assoluto costruito durante la Seconda guerra mondiale.

Se Aurélie Jean, classe 1982, ci racconta dei suoi miti, Claire L. Evans ne mette a fuoco storie e origini. A partire dall’ammiraglio Grace Hopper, matematica, informatica e militare statunitense soprannominata «la grande signora del software». Quando durante la Seconda guerra mondiale entrò in Marina, pensò che si sarebbe occupata di decrittare codici nemici. In verità divenne la terza programmatrice del primo computer al mondo, il Mark I. In poco tempo Grace divenne il braccio destro del comandante Howard Aiken, scrisse i codici che risolsero alcuni dei problemi matematici più spinosi della guerra e scrisse il manuale ancora mancante per il funzionamento della macchina. Ma la storia che voglio raccontarvi a partire da Grace è un’altra ed è legata ad un altro computer. Si tratta dell’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer) una macchina grande come una stanza piena di guaine e acciaio la cui costruzione era stata finanziata dall’esercito per elaborare numeri per lo sforzo bellico. Senza entrare nei dettagli, la differenza sostanziale era data dalla velocità di calcolo: il Mark I elaborava tre calcoli al secondo, l’ENIAC ne gestiva cinquemila.

In visita all’Università della Pennsylvania, oltre all’ENIAC Grace scoprì un’altra cosa: non era la sola programmatrice donna al mondo. Soltanto nel 1944, nel laboratorio dell’ENIAC lavoravano almeno cinquanta donne tra redattrici, assemblatrici, segretarie e tecniche. Sei di loro avevano il compito di preparare i problemi matematici per il computer, le due Betty erano gli assi della squadra. Un giorno vengono convocate da Herman Goldstine, il loro contatto con l’esercito, e la moglie Adele. Herman chiede alle ragazze di preparare un calcolo balistico in tempo per la dimostrazione dell’ENIAC alla comunità scientifica, che si sarebbe tenuta dodici giorni dopo. Una richiesta molto impegnativa per non dire impossibile. All’evento avrebbero partecipato noti scienziati, dignitari e vertici dell’esercito. Betty Snyder ventotto anni e Betty Jean Jennings ventuno, accettano, lavorano al progetto giorno e notte per due settimane e la dimostrazione della traiettoria balistica è un grande successo. L’indomani le prime pagine dei giornali non parlano d’altro ma nessuno parla delle due Betty. Fotografate insieme ai colleghi maschi, le foto pubblicate ritraggono soltanto uomini in vestiti eleganti e decorazioni militari in posa vicino alla macchina. L’articolo, pieno di imprecisioni, non attribuisce alle due Betty il merito del gigantesco lavoro. Qualche giorno dopo l’università organizza una grande cena per festeggiare l’evento, dei vertici dell’esercito e dei membri della comunità scientifica intenti a mangiare zuppa di aragoste non manca nessuno a parte le sei dell’ENIAC. Non sono state invitate, persino i Goldstine le snobbano. Betty Jean Jennings nella sua biografia decenni dopo avrebbe scritto «era come se quel giorno si fosse fatta la storia che poi ci aveva investite e lasciate sulla scia».

Dice bene Giulia Blasi nella prefazione quando ci ricorda che nel nostro immaginario collettivo internet e innovazione tecnologica fanno il paio con un uomo geniale in uno scantinato. Non è così e questo libro si riappropria di una verità storica, di un punto di vista necessario dissotterrando le storie sepolte, riannodando i fili e ricollegando i cavi.