A quanto pare, appena fuori Ginevra, vicino al pont de Sierne, dovrebbe esserci ancora un casetta utilizzata da Liszt per i suoi convegni amorosi. A Veyrier, comune di quasi dodicimila anime ai piedi del Salève il cui toponimo nel mondo dell’archeologia è associato, a partire dal 1833, a importanti ritrovamenti magdaleniani, girava voce addirittura di una figlia illegittima. Fanchette, ragazza un po’ indietro di cottura, nata, si diceva, dagli incontri segreti tra il famoso musicista ungherese e la moglie di Henri Jappel, gerente del Café du Pas de l’Échelle di Veyrier. Ricordandomi d’un tratto qualcosa che avevo letto a proposito di una pianista svampita che frequentava un bistrò descritto proprio in prossimità del pont de Sierne, spunta, tra le pagine di Genève et ses vieux bistrots (1970) di Jean Marteau, seduta in terrazza, lungo l’Arve, verso il 1890, la pianista Olga Césano: «l’ultima amante di Liszt».
Franz Liszt (1811-1886), già incontrato nelle nostre passeggiate l’estate scorsa in compagnia di Marie d’Agoult a bordo di una barchetta a remi sul lago di Walen, ha vissuto a Ginevra tra l’agosto 1835 e l’ottobre 1836. I tempi, dunque, per l’ultima amante di Liszt, non combaciano poi troppo, a meno che il virtuoso pianista donnaiolo non abbia tenuto le chiavi di quella casetta misteriosa e ci ritornasse in seguito, di tanto di tanto, a incontrare Olga Césano (1845-1914) nota anche come principessa Janina. Comunque sia, qualcosa di vero ci deve essere. E appena scopro che sulla facciata ci sono alcuni resti delle decorazioni – un Orfeo, sembra, in bassorilievo – del primo teatro di Ginevra costruito nel 1783 e demolito nel 1880 ed è stata l’oscura location principale di un piccolo capolavoro sconosciuto del cinema svizzero, prendo il primo treno per Ginevra. Al volo, appena arrivato alla stazione, salgo sul bus numero otto che attraversa tutta la città e scendo spaesato alla fermata Pont de Sierne. Mango lounge leggo sulle mura dell’ex bistrò campestre frequentato oltre che dalla principessa Janina e Jean Marteau, dal violinista-compositore Ernest Bloch e l’organista William Montillet spesso in conflitto ma uniti poi da un bianchino pacificatore in riva all’Arve. Si mette male, penso, per il posto cercato. Un’altra insegna è di un ristorante cinese precedente al Mango lounge che già cade in rovina. E invece, facendo ballare l’occhio, non lontana, nascosta un po’ da un accumulo di canoe o cos’altro davanti, una tarda mattina di inizio primavera, eccola là, la garçonniere di Liszt (398 m). Riconosciuta subito grazie a Black Out (1970), film profetico di Jean-Louis Roy (1938-2020) su una coppia paranoica di vecchietti che si rinchiude lì dentro quella casetta con frontone dentellato da chalet, pieni di provviste in vista dell’arrivo dei russi.
Raggiungo in un baleno questo rifugio per la guerra fredda con medaglioni mitologici del teatro sparito e qualcosa di una casa di bambole. Minuscola, conserva ancora l’Orfeo in gesso con in mano la lira, mentre lo spazio ovale vuoto accanto, sotto un curioso marcapiano di sassolini, mostra il segno del medaglione staccato: l’Euridice perduta. L’Orfeo del décor interno del teatro un tempo all’angolo del parc des Bastions, sembra chiedersi, come nell’aria intitolata proprio così dell’Orfeo ed Euridice (1762) di Gluck: «Che farò senza Euridice?». Sbircio meglio dentro e ormai l’ex nido d’amore di Liszt sembra colonizzato da canoe, kayak, attrezzature per il rafting. L’Arve dal colorito glaciale scorre lì davanti. Tende alle finestre come se ci fosse qualcuno in casa e la porta murata, mi trasmettono una leggera inquietudine. È però la gioia per aver trovato intatto questo pavillon stile Hänsel e Gretel intorno al quale ora mi aggiro famelico di dettagli, aumentata dall’aria frizzantissima di marzo con lo scoppio di magnolie in giro eccetera, più il tocco dello scorrere indomito dell’Arve, a prevalere. Di fianco, un altro medaglione in bassorilievo mostra un angioletto solleticare, con un filo d’erba, una bambina ancora addormentata. Risbuco sul davanti, dall’altro lato della casetta orfica al quattro della route du Pas-de-l’Echelle, su un prato. Incantato da quel particolare marcapiano di sassolini fluviali e dal suo destino fuori dal comune: musica, teatro, cinema, mito, amanti, e ora ritrovo per il rafting.