La frontiera violenta dell’America

/ 19.06.2023
di Paola Peduzzi

«Non esiste una vita senza spargimento di sangue», aveva detto Cormac McCarthy molti anni fa in una delle sue rare interviste. «Sono convinto che l’idea che la nostra specie possa in qualche modo essere migliorata, che tutti possano vivere in armonia, sia un’idea davvero pericolosa». McCarthy è morto martedì scorso a 89 anni, lasciandoci con i suoi romanzi scarnificati pieni di scalpi, decapitazioni, incendi, stupri, incesti, necrofilia e cannibalismo: l’America della frontiera, l’America che fatichiamo a riconoscere innamorati come siamo in Europa delle mille luci delle metropoli con la loro promessa di integrazione. McCarthy ha raccontato il far west, senza l’epica dei saloon e dei duelli e della salvezza, e la vita in periferia – il semiautobiografico e meraviglioso Suttree racconta la vita dei vagabondi e degli «strambi» di Knoxville, in Tennessee – con la convinzione che l’unico posto in cui è possibile capire l’America sia la frontiera, il luogo più rilevante, più dibattuto e più inaccessibile della cultura americana.

La frontiera di McCarthy è fatta di una violenza estrema e gratuita che proprio per questo appare naturale e insormontabile perché è il cuore non soltanto del suo Paese ma dell’essere umano: il riscatto non c’è quasi mai, ma nell’immensità di un mondo vuoto com’è quello ai confini dell’America si ritrovano la bellezza e persino l’amore. Come quello tra il padre e il figlio di La strada, senza nome e con un carrello della spesa come unica proprietà in un mondo di morti e macerie, eppure determinati a rimanere vivi, insieme. Come quello di Billy per la lupa in Oltre il confine, che racconta la necessità di trovare la propria destinazione, salvandosi. Nel pessimismo deterministico di McCarthy, brutale e sanguinante, c’è lo spazio per la rocciosa tempra americana, che per semplicità noi definiamo «sogno americano», addolcendola con un idealismo che spesso non esiste. «Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto», scrive in Cavalli selvaggi. «Che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa pretendeva il sangue di molta gente per la grazia di un singolo fiore».

McCarthy non ha mai scritto un articolo per un giornale né tenuto delle lezioni, quindi non sappiamo che cosa pensasse dell’attualità, così come può essere pretestuoso provare a estrapolare la sua idea dell’America quando è evidente che volesse raccontare la natura umana. Ma nel momento in cui la frontiera che lui ha raccontato così bene – il confine sud degli Stati Uniti – si è affacciata sempre più nei nostri schermi e dalle urne è emerso un popolo americano che abbiamo trovato irriconoscibile, i romanzi di McCarthy sono diventati una lettura istruttiva, oltre che imprescindibile. Nei suoi libri si capisce cosa vuol dire quel confine, che cosa significa oltrepassarlo, perché la violenza che vediamo nelle immagini che ci arrivano da quello spicchio di mondo fatto di clandestinità, gabbie, fiumi mortali e pianti di bambini, indigna quasi solo noi che non sappiamo nulla della vita di frontiera. Comprende tale brutalità è la premessa indispensabile per trovare delle soluzioni.

Allo stesso modo, il trumpismo – per sintesi utilizzo un termine che McCarthy non si è mai sognato di pronunciare – è più decifrabile se si ha dimestichezza con i personaggi di questi libri, non perché siano più cattivi e feroci degli americani che ci picchiamo di conoscere, ma perché rappresentano la natura libera, quindi sregolata, quindi disarmonica, di buona parte degli americani. Quando i fratelli Coen hanno portato sullo schermo Non è un paese per vecchi, hanno eliminato quasi del tutto il diario dello sceriffo Bell (interpretato da Tommy Lee Jones): era sicuramente difficile da rendere in una trasposizione cinematografica, ma conteneva anche la spiegazione esatta della distanza – forse incolmabile – che c’è tra Hollywood, cioè l’America che conosciamo, e la contea di Terrell, in Texas, dove è ambientata la storia. L’idea di poter vivere tutti in armonia è per McCarthy pericolosa, così come per lui la guerra è ineluttabile, ma è anche la promessa che i politici di sinistra oggi fanno a un’America divisa e slabbrata che mette in discussione le sue regole di convivenza, sul confine di sé stessa.