Con il solito ritardo di 2 anni sono usciti, un paio di settimane fa, i dati relativi alla crescita delle economie delle regioni svizzere nel 2015. Il 2015, ovviamente, è un anno particolarmente interessante per gli osservatori economici. A metà gennaio di quell’anno, infatti, la Banca nazionale svizzera decise di abbandonare la politica che aveva perseguito sino allora, di sostenere un cambio di 1,2 franchi per un euro, per lasciare fluttuare la divisa a seconda dei capricci del mercato. Il cambio scese immediatamente a 1, 1,01 franchi per un euro per poi risalire e stabilizzarsi verso 1,08-1,09 franchi per un euro.
Queste fluttuazioni rincararono naturalmente i prezzi dei beni svizzeri esportati in Europa di almeno un 10% compromettendo così la competitività delle nostre aziende esportatrici. Le stesse furono obbligate ad adottare misure per contenere l’aumento dei costi. In molti casi dovettero decidere se continuare a produrre in Svizzera, realizzando dolorose ristrutturazioni, oppure spostare una parte o l’intera produzione in nuove sedi situate in paesi dell’Unione Europea con livelli salariali non troppo elevati. Come soluzione intermedia le aziende che dovevano contenere i costi di produzione hanno potuto adottare quella di spostare una parte o l’intera produzione in una regione della Svizzera dove i salari erano inferiori alla media nazionale e la manodopera abbondante. Per esempio in Ticino.
Per l’economia ticinese, quindi, la rivalutazione del franco ha avuto sì un effetto negativo, compromettendo la competitività delle aziende esportatrici. Nel contempo, però, ha avuto anche un effetto positivo, rafforzando l’attrattività del cantone per le aziende esportatrici svizzere che necessitavano di manodopera relativamente a buon mercato. La pubblicazione delle stime del Pil regionale per il 2015 ci consente di verificare, almeno per saldo, quale sia stato l’impatto di questi due effetti. Purtroppo la perdita di competitività ha influito in modo molto più marcato che l’aumento di attrattività localizzativa. L’economia ticinese ha conosciuto, nel 2015, una diminuzione del tasso di crescita del Pil molto maggiore che l’economia svizzera in media. Non solo, ma con il 2015, l’economia ticinese sembra essere ritornata in riga con l’andamento economico nazionale, mettendo termine a un breve, eccezionale, periodo durante il quale il tasso di crescita annuale del suo Pil era sempre superiore a quello medio nazionale.
I dati sulla variazione del Pil cantonale nel 2015 ci consentono ancora due osservazioni. Sempre a proposito della diversa misura nella quale la rivalutazione del franco ha potuto incidere sulla crescita delle economie regionali, possiamo rilevare che l’economia del Ticino si situa nel gruppo numeroso delle economie che hanno risentito mediamente dell’effetto negativo di questa rivalutazione, ossia delle economie nelle quali il tasso di crescita del Pil per il 2015 si è situato tra lo 0 e l’1 per cento. Colpite più gravemente dall’aumento di valore del franco sono state le economie dei cantoni industrializzati, nei quali prevalgono le aziende esportatrici come Basilea campagna, S. Gallo, Argovia, Ginevra e Giura. In questi cantoni il Pil, nel 2015, è diminuito rispetto all’anno precedente. La rivalutazione si è fatta invece meno sentire nei cantoni della Svizzera centrale, nel canton Zurigo e nei cantoni di Appenzello interno, Vallese e Neuchâtel. Questi ultimi tre cantoni, pur disponendo di una base economica nella quale le aziende esportatrici giocano un ruolo importante, sono riusciti a realizzare un tasso di crescita del Pil largamente superiore all’1%.
Se uno volesse cercare il rimedio contro la rivalutazione del franco dovrebbe studiare da vicino questi tre esempi. L’altra osservazione riguarda l’evoluzione dell’occupazione. In Ticino, nel 2015, è aumentata dello 0,6%, mentre in Svizzera è cresciuta dell’1,5%. Di conseguenza sia in Svizzera che in Ticino la produttività del lavoro è diminuita nel 2015, ma in Svizzera più largamente (–0,9) che in Ticino (–0,2%). La lezione da trarre dal 2015 è dunque che, nonostante la libera circolazione della manodopera, il Ticino continua a disporre di un’offerta di lavoro maggiormente flessibile di quella disponibile a livello nazionale. Il lettore intelligente capirà da solo perché.