Emmanuel Macron ce l’ha fatta. La Francia ha scelto ancora una volta l’Europa, l’atlantismo, il liberalismo, la globalizzazione governata. Ma la Francia è divisa come mai prima. Se avesse votato solo Parigi, Macron non sarebbe al 58, ma all’85%. Se però avesse votato soltanto il nord deindustrializzato, o il Sud terra d’approdo dell’immigrazione, Marine Le Pen sarebbe presidente. «Non esistono due France, quella delle città e quella delle campagne, quella che sta bene e quella che sta male. La Francia è una sola» ha detto il presidente nell’ultimo comizio. Ma non è così. C’è la Francia che vive nelle grandi città, ha studiato, sa l’inglese, considera l’Europa il proprio futuro, trae vantaggio dalla globalizzazione e pure dall’immigrazione; e si è mobilitata per Macron. E c’è una Francia che vive in periferia o in provincia e dall’Europa si sente dominata, dalla globalizzazione tradita, dall’immigrazione minacciata; anche stavolta è stata sconfitta, sia pure meno nettamente che in passato, con Le Pen.
Il divario sociale è palese e preoccupante. A Saint-Germain e nel sedicesimo arrondissement, quello a più alto reddito, al primo turno Macron ha superato il 50%; Le Pen non è arrivata al 5. Tra i francesi con la laurea magistrale il presidente vince 5 a 1; tra quelli con la laurea triennale prevale 4 a 1; tra i diplomati pareggia; tra coloro che si sono fermati alla scuola dell’obbligo è travolto da Le Pen. Ovviamente non tutti i quasi 20 milioni di francesi che hanno votato Macron sono raffinati intellettuali o milionari felici. Molti sono europei che non volevano una vittoria di Putin, la fine dell’Ue, il conseguente tracollo finanziario. Francesi ed europei consapevoli che la loro economia si regge anche sull’immigrazione. Ma la paura che ha portato Marine Le Pen al massimo storico non può essere demonizzata. Resta un fatto: Le Pen alla fine ha perso perché la maggioranza dei francesi ha ben chiaro che l’Europa è il suo destino. È l’unico modo per dare alla Francia un ruolo mondiale, per finanziare a tasso zero un debito pubblico crescente, per difendere la moneta e i risparmi, e anche per affrontare i flussi migratori che premono dalla sponda sud del Mediterraneo e dai confini orientali del continente. Non è chiaro però se questo l’abbiano compreso anche i sovranisti italiani. I quali, a differenza di Le Pen, secondo i sondaggi tra pochi mesi vinceranno le elezioni, e con i centristi di Berlusconi avranno la maggioranza in Parlamento.
I motivi dell’ennesima sconfitta di Le Pen sono molti. Tra i trentenni, la generazione della precarietà, lei ha prevalso. A fare la differenza sono i francesi che hanno più di 65 anni. Una generazione che va a votare in massa, e che in massa – 70 contro 30% – ha scelto Macron. Non è un caso che l’ascesa dell’estrema destra inquieti in particolare gli anziani. La Francia si è raccontata di aver vinto la seconda guerra mondiale; in realtà, se oggi è l’unico Paese dell’Ue ad avere la bomba atomica e un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, lo deve a un pugno di eroi, riuniti attorno al generale Charles de Gaulle, che animarono una Resistenza destinata a rafforzarsi man mano che le armate tedesche cedevano terreno. Ma una parte dei francesi collaborò con i nazisti e riaprire la ferita di Vichy, come quella dell’Algeria francese, fa paura alla generazione che di quegli eventi ha memoria. Marine Le Pen, a differenza del padre e di Eric Zemmour, si tiene lontana dal tema ma ancora ne paga il prezzo. Il monito che dovrebbe venirne a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni è chiaro. Leader che non sono più alla testa di piccoli movimenti, ma ambiscono ognuno a guidare il primo partito italiano, non dovrebbero avere nessun tipo di legame con chi non condivide i fondamenti della Repubblica, a cominciare dall’antifascismo. Ma non è certo sulla memoria che si sono giocate le presidenziali francesi. I punti centrali sono stati l’economia e la posizione della Francia in Europa, nell’Alleanza atlantica, nel difficile confronto con Putin.
I sovranisti italiani sembrano tuttora in mezzo al guado tra Macron e Le Pen, tra l’europeismo e l’euroscetticismo. Del resto se persino Giuseppe Conte, alleato con il Pd, rifiuta di scegliere tra i due (mentre Luigi Di Maio è passato dai «gilet gialli» a Macron), è difficile pretenderlo da Salvini e Meloni. Salvini si è congratulato con Le Pen per il risultato al primo turno; Meloni invece ha chiarito che lei non la rappresenta. Però Salvini in Italia sostiene il governo Draghi, ha contribuito alla rielezione di Mattarella. Meloni è all’opposizione eppure sulla guerra in Ucraina parla come Draghi. Resta da capire quale sarà la linea che i leader della Lega e di Fratelli d’Italia sceglieranno in campagna elettorale e soprattutto quale adotteranno se andranno al potere.