Chissà quante volte, in questi ultimi anni, passando via in tram, la fontana di Tinguely a Basilea (277 m) mi ha strappato un sorriso. Mai però, tra una cosa e l’altra, mi sono seduto in compagnia delle nove sculture cinetiche in ferro forgiato che spruzzano acqua da tutte le parti. Come adesso, sul muretto, quando diversi basilesi sono seduti qui per il pranzo: insalata la tipa a fianco, panini una coppia all’ombra, odore di cibo asiatico altrove. Centralissima, tra le fermate del tram Bankverein e Barfüsserplatz, da decenni è anche molto popolare come punto d’incontro o attrazione turistica. Osservando con tutta calma le sculture nere eseguire i loro baldanzosi giochi d’acqua come numeri di uno spettacolo buffo, diventano man mano dei personaggi con i loro ruoli nonsense.
Non a caso, il bacino della fontana, profondo solo diciannove centimetri ma il cui fondo catramato inganna l’occhio, corrisponde al palcoscenico del vecchio teatro cittadino sparito con un grande boato, in una nube di polvere, il sei agosto 1975. Del resto ogni figura, alcune costruite con dei pezzi recuperati dal teatro demolito, ha il suo nome. Theaterkopf viene chiamato, per esempio, quel mascherone sorridente iscritto in un capitello che ondeggia avanti e indietro sputando acqua dagli occhi. È l’irresistibile riproduzione di una delle nove muse che c’erano sulla facciata classicista del teatro e che guarda ora beffarda verso il nuovo teatro un po’ così. A fianco si staglia, controluce, la sagoma neogotica della Elisabethenkirche. Sullo sfondo passano molti tram. Regalo della Migros alla città in occasione dei suoi cinquantanni, la fontana tutta matta è una mia coetanea inaugurata il quattordici giugno 1977 con tanto di Tinguely che arriva in groppa a un cammello.
Jean Tinguely (1925-1991), nato a Friborgo e morto a Berna, dopo aver vissuto qui dal luglio 1925 al dicembre 1952, emigra a Parigi dove partecipa alla prima grande mostra dell’arte cinetica alla galerie Denise René nell’aprile del 1955. Cinquantacinquemila litri vengono pompati e spruzzati in aria, giorno e notte, in questo pandemonio giocoso d’acqua nato in realtà come Fasnachtsbrunnen ma che tutti chiamano Tinguelybrunnen. Lo stesso Tinguely, tra l’altro, come molti basilesi, non solo era molto legato al curioso carnevale che inizia prima dell’alba, ma aveva anche disegnato più volte per la sua Clique – Kuttleputzer: i pulitori di trippe – i costumi, nonché costruito nel 1985 un carro con una testa ciondolante modellata su un cranio di rinoceronte. Di fianco al mascherone-capitello che annuisce di continuo ghignando con l’acqua che esce a getti dagli occhi, un altro marchingegno insiste a tirare su una padella forata come uno scolapasta. Gesto inutile che ripetuto perennemente diventa sketch. Avvicinandomi però, alcune monetine lanciate nel recipiente bucherellato gettano nuova luce sull’oggetto e la sua funzione. È un setaccio come quelli dei cercatori d’oro nei fiumi.
«Nella sua infanzia Tinguely era osservatore affascinato dal rumore dell’acqua dei ruscelli» trovo scritto in Ting Ting Tinguely, testo apparso nel marzo 1983 sul mensile Le Monde de la musique, a firma del musicologo e polistrumentista Jean-Nöel von der Weid, anche lui nato a Friborgo e parigino d’adozione. Da bambino spariva per pomeriggi interi nei boschi fuori Basilea: costruiva dei marchingegni sonori con degli oggetti trovati in giro, azionati dai ruscelli. «Ho costruito molto in seguito, ma mai meglio. Non era dell’arte, ma un evento. Immaginavo uno spettatore innocente, un cercatore di funghi, una guardia forestale che sarebbe arrivato lì e avrebbe scoperto la mia orchestra, inceppata forse da un ramoscello venuto a bloccare una ruota» ricorda Tinguely. Un terzo elemento, vicino al setacciatore di monetine e la musa acquatica, lo chiamano dr Suuser in dialetto locale, der Sauser «in tedesco noioso» come ho sentito dire una volta su un treno da una sedicenne tamarra. Un mosto frizzante, forse per via del suo entusiasmo: è un delirio infatti con i suoi due poderosi spruzzi. Uno in aria, movimentato da una ruota, come una doccia all’incontrario. L’altro in avanti, verso gli altri orchestrali, simile a una canna da giardino impazzita. È forse il mio preferito.
Vi risparmio l’elenco completo dell’ensemble, più divertente forse scoprirli dal vivo, va comunque detto che per me sono nove, come le muse, i personaggi veri, in movimento. Ufficialmente sono dieci, contando quello in un angolo, immobile, arrivato nel 1983 come illuminazione, sputando al contempo un monotono getto fuori contesto ed è soprannominato Piffero o Tartaruga. Levo le tende da questo esilarante putiferio sprizzante, per andare all’angolo tra la St. Jakobs-Strasse e la Lange Gasse, dove in un prato sorprendentemente giace, sopravvissuta alla demolizione, la musa autentica del vecchio teatro. C’è anche il suo doppelgänger triste, con la bocca all’ingiù. E un lampadario del foyer teatrale appeso a un ramo. Cimeli del giardino di un’attrice morta da tempo. Nel pomeriggio, davanti al Museo Tinguely, sulla spiaggetta di sassi, dopo aver impacchettato tutto quanto nei loro Schwimmsäcke, dal ponte, vedo entrare, come un gioco d’acqua vivente, i nuotatori del Reno oggi color caffelatte.