È da una vita che ci voglio andare a Brunate: location mancata di un film di Fellini mai realizzato intitolato Una donna sconosciuta. Tutte le volte che passavo via in treno da Como mi rapivano quelle ville appollaiate lassù. Come pure ogni volta che scendevo alla stazione di Como, mi veniva voglia di salire a Brunate. Poi ho sempre rimandato, catalogando questo luogo tra quelli che si tengono in sospeso, come alcune cose, cullando il sogno. L’occasione per andarci è la scoperta, l’altro giorno, dell’esistenza di una curiosa fontana degli anni Trenta. È una delle tre rimaste di una serie di dodici commissionata dall’azienda fondata da Gaspare Campari (1828-1882), l’inventore del famoso aperitivo nel 1860 a Novara, sbarcato poi nel cuore di Milano. L’autore della fontana è invece lo scultore fiorentino Giuseppe Gronchi (1882-1944).
Così, un pomeriggio di pioggia verso la fine di maggio, cammino spedito senza ombrello per le strade di Como. La funicolare per Brunate dal 1894 si trova vicino al lago e la facciata stile chalet eclettico della sua stazione vale già la pena. Preludio pseudoalpino alle alture cittadine. Un venditore di ombrelli del Bangladesh mi propone un ombrello ma rifiuto, stupidamente. Nonostante il tempo ci sono diversi turisti. Alle quattro e mezza si parte per la passeggiata ascensionale. Cinque minuti neanche e acchiappo con l’occhio, dal finestrino, i primi ghirigori liberty di un cancello floreale in ferro battuto. Paese di barometrai nell’Ottocento, luogo di villeggiatura dei milanesi nel secolo scorso – un po’ come Lanzo d’Intelvi, Varese, Faido – Brunate è un covo unico per gli amanti del liberty e dell’eclettismo.
Spettrale svetta il Grand Hotel Milano con le finestre sventrate e sullo sfondo il cielo minaccioso. Sorto nel 1911 su progetto dell’architetto Achille Manfredini di Catanzaro, cade in abbandono nel 1978. Dall’epoca bella alla rovina assoluta, conosce a metà anni Ottanta una parentesi come centro di meditazione trascendentale. Abbandonato poi a sua volta da tutti i seguaci di Maharishi – il guru indiano dei Beatles nato pure lui nel 1911 – tranne uno, un certo Albert che medita ancora per anni, nove ore al giorno, in una delle duecento stanze dell’ex hotel di lusso. Nel tempo libero girava su una moto Guzzi 750 con targa tedesca. Alla morte di Maharishi nel 2008, Albert salta sulla moto e torna in India lasciando le stanze a caprioli e vagabondi. Dalla barriera sbircio le sobrie linee del ferro battuto della pensilina d’ingresso.
M’incammino a naso sapendo che la fontana è vicina alla funicolare. Le varie attrazioni, tra le quali il faro voltiano, sono tutte indicate. La fontana del Campari a Brunate (751 m) no ed è felicemente da trovare. Rose rosse finte per un poeta bulgaro. Ben due lapidi marmoree commemorative ricordano la morte di Penčo Slavejkov qui all’hotel Bellavista il dieci giugno 1910. Una con effigie in bronzo a cura dell’unione degli scrittori bulgari e una più piccola a cura dei bulgari studenti a Padova. Incomincia a tuonare, meglio non distrarsi. Proseguo e trovo due cartelli: ville liberty, panorami. Benché l’inatteso plurale di panorama mi attira allo stesso tempo del percorso liberty, torno indietro. Mi ricordo solo ora che le poche notizie sulla fontana del Campari dicevano «sotto la funicolare».
Scendo le scale attorniate da notevoli rocailles tipo dolmen. Via Roma, odore forte dei fiori di sambuco accentuato dalla pioggia. La vista è qualcosa, il Lario è blu cobalto scuro, un gruppo di iris fa capolino da un giardino. Qualche passo e avvisto il travertino della fontana pubblicitaria. Campari campeggia cesellato in maiuscolo e in rilievo, due volte. Sotto un mascherone affiancato da due putti musicali. L’aperitivo sottolinea la prima scritta, mentre liquor la seconda che da vicino si nota che è sormontata da una quinta scritta: Cordial. È il Cordial Campari, creato da Davide Campari nel 1887 a base di distillato di lamponi e oggi fuori commercio. Due colonne scanalate accrescono la monumentalità dell’opera. Non per niente Gronchi, autore tra l’altro degli animali sulla facciata della stazione centrale di Milano, è stato un esponente prolifico della monumentomania. Le colonne dicono siano state decapitate: c’erano le teste di Mussolini e Vittorio Emanuele II. Eppure, confrontando le altre due fontane rimaste intatte in Toscana, le teste non sono le loro. Schiaccio uno dei due pesciolini d’oro e schizza acqua, mica campari né seltz per il campari. Papaveri affrescati risaltano sulla facciata di Villa Giuliani, proprietà un tempo della famiglia dell’amaro medicinale Giuliani e oggi sede degli alpini.
Qui nei dintorni ci sarebbe ancora il Villino Elisi (1912), benché rimaneggiata è l’unica casa realizzata in vita da Antonio Sant’Elia caduto a ventottanni sul Carso. Ma diluvia e mi metto al riparo per farmi un campari. E mi viene in mente l’inarrivabile slogan di Depero che accompagna il disegno di un uomo con l’ombrello al contrario e il manico come una cannuccia: «Se la pioggia fosse di Bitter Campari».