Donald Trump non vuole riconoscere la vittoria del suo rivale e sfidante Joe Biden alle elezioni americane del 3 novembre. Non vuole. Tutti cercano di capire quale sia il suo obiettivo, ma per ora resta soltanto l’assenza di volontà – la fotografia di un momento atipico, un altro, della storia americana, con la speranza che sia l’ultimo. La Casa Bianca ha fatto alcuni ricorsi negli Stati contesi, sta aspettando i riconteggi, ma un team di giornalisti del «New York Times» ha telefonato a tutti gli uffici elettorali di tutti gli Stati americani per verificare eventuali irregolarità o incongruenze – nelle macchine che contano e nei registri principalmente – e dopo una settimana di lavoro è giunto alla conclusione: non ci sono stati brogli.
Trump non è dello stesso avviso, anzi, forse lo è: sa che non ci sono stati brogli, ma non importa. Il presidente degli Stati Uniti vuole che Biden sembri un impostore, un democratico che gli ha rubato il suo diritto legittimo a essere riconfermato per altri quattro anni, un ladro di elezioni: #FakeBiden. È pronto a tutto, Trump, pur di uscire come un martire da questa storia.
Come già abbiamo capito in questi turbolenti anni, il presidente non sarebbe nulla se il suo partito, il Partito repubblicano, non lo sostenesse. Ricordate l’impeachment? I fatti non furono importanti perché contava soltanto la fedeltà dei repubblicani che al Senato decisero di appoggiare Trump e votare contro la messa in stato d’accusa: avevano la maggioranza e null’altro importò più. Questo è l’esempio più concreto della forza che i repubblicani hanno dato a Trump, ce ne sarebbero tanti altri, ma oggi la domanda è: perché continuano a sostenere un presidente che ha perso? Finora ha contato lo spirito di gruppo e il mantenimento del potere, ma adesso? Davvero i due seggi ancora da definire per il Senato in Georgia – quelli che potrebbero conservare la maggioranza dei repubblicani oppure dare ai democratici un pareggio – valgono la fedeltà a ogni costo? E poi per cosa, per sfregiare ancora di più il sistema democratico americano?
Le risposte si accavallano e si elidono allo stesso tempo, perché in privato alcuni repubblicani si accorgono della follia finale, ma non si azzardano a farlo pubblicamente, perché per ora il leader è Trump e ha ancora un paio di mesi buoni per rappresaglie di ogni tipo. Questo imbarazzo e questa altalena è ben evidente se si accende la tv e ci si sintonizza su Fox News, la tv trumpiana per eccellenza: l’80 per cento delle trasmissioni ripete la litania presidenziale, da #FakeBiden a «vinceremo», e racconta la rabbia dei 70 milioni di elettori che hanno votato Trump e ora si sentono defraudati. Naturalmente questo 80 per cento di copertura cosiddetta giornalistica alimenta l’idea del furto, dell’elezione rubata, dei democratici – partito, media, poteri forti – che avevano deciso che avrebbero cacciato Trump dalla Casa Bianca e lo hanno fatto indipendentemente dall’esito nelle urne. C’è un 20 per cento che dice: il presidente ha perso, e toglie la diretta quando lui ripete il contrario. Ancora poco per parlare della fine di un amore e di un’alleanza, anche perché dentro Fox News lo scontro è in corso da tempo e si sapeva che queste elezioni sarebbero state un regolamento di conti: cosa penserà il patriarca Rupert Murdoch? Non è dato saperlo. Ma finché le crepe sono piccine, finché i dissidenti che dicono a Trump: hai perso, sono pochi e sempre i soliti, l’alleanza continua.
Perché? Perché potrebbe essere utile. Perché in questo modo la retorica antisistema non finisce con Trump (che il sistema non lo ha spezzato: lo ha semplicemente sostituito con un altro, il suo)e il suo tesoretto politico potrà essere sfruttato ancora. Perché nessuno sa che cosa voglia fare il presidente una volta uscito dalla Casa Bianca, e i trumpiani sono ovunque. Perché al Congresso e al Senato il Partito repubblicano non è andato male, la prossima sanzione elettorale – se ci sarà – sarà tra due anni, nel frattempo non si devono fare calcoli affrettati, bisogna trovare una risposta alla frustrazione per la sconfitta mentre si prendono le misure a Trump. Così si è imposto il trumpismo e si è consolidato in questi anni: considerando malato il sistema. Ed è appena ironico notare che anche i repubblicani che non sanno riconoscere quale sarà il momento giusto per scendere dal carro ora contano sul fatto che in realtà il sistema è molto sano, e saprà gestire le manie autocratiche del presidente che ha perso le elezioni – cosa che loro non sanno, non riescono, non vogliono fare.
La follia finale
/ 16.11.2020
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi