La fine di un’illusione

/ 28.11.2022
di Peter Schiesser

La conferenza sul clima chiusasi a Sharm el Sheik una settimana fa ci ha derubati dell’illusione di poter contenere l’aumento della temperatura terrestre globale a 1,5 gradi Celsius. L’obiettivo non è stato cancellato, ma nessun passo, neanche a parole, è stato fatto verso piani concreti, la richiesta di vincolare tutti i paesi a raggiungere il picco delle emissioni di CO2 entro il 2025 è stata respinta, come voleva la Cina che punta al 2030, quella di ridurre la dipendenza da energie fossili è stata bloccata dall’Arabia Saudita.

I fronti sono stati chiari: i paesi industrializzati, l’Occidente insomma, contro i paesi emergenti, in cui si sommano, in un’alleanza contronatura, grandi inquinatori come Cina e India e le isole del Pacifico a rischio di sparizione per l’innalzamento del livello dei mari. I primi a perorare la necessità di compiere un’evoluzione rispetto alla conferenza di Glasgow dell’anno scorso, per rendere concreta l’ambizione di ridurre le emissioni di anidride carbonica e quindi di limitare a 1,5 gradi l’aumento della temperatura globale. I secondi a richiedere – e infine ottenere – l’istituzione di un fondo per aiutare i paesi del sud del mondo colpiti già oggi e ancora di più in futuro dai mutamenti climatici. Non a caso il fronte è stato guidato dal Pakistan, devastato nei mesi scorsi da alluvioni i cui danni sono stimati a 40 miliardi di dollari (più di un decimo del PIL nazionale). Il ragionamento, legittimo, è che i mutamenti climatici sono colpa delle nazioni industrializzate, che per decenni hanno approfittato del progresso materiale lasciando al pianeta e alle generazioni future il conto da pagare. Allo stesso tempo, i paesi del sud del mondo, emergenti e poveri, non sono disposti a rinunciare troppo velocemente alle energie fossili prima di aver raggiunto un minimo livello di benessere.

Sharm el Sheik ha mostrato che l’Occidente ha perso la leadership della lotta contro i cambiamenti climatici, mai come questa volta ci sono state tante divisioni. Ora si presenta un vuoto, perché l’opposizione a piani concreti e misure incisive è infine solo autolesionista. Anche la vittoria sulla creazione di un fondo è solo una conquista a parole. Nessuno ha oggi idea di come dovrà essere strutturato, a che cosa concretamente servirà, quali paesi saranno chiamati ad alimentarlo, di quanti capitali sarà dotato (e finiranno nelle mani giuste o nei meandri della corruzione?). La richiesta del sud del mondo è che sia solo l’Occidente a pagare, a loro volta i paesi industrializzati insistono che vengano chiamati alla cassa anche grandi inquinatori come Cina e India, non più equiparabili a paesi in via di sviluppo. Sarà materia di negoziati nelle prossime conferenze.

Questo vuol dire che dobbiamo prepararci mentalmente e praticamente ai mutamenti climatici, a un aumento della frequenza e della forza di eventi naturali, a siccità e inondazioni, incendi e smottamenti, a modifiche di fauna e flora, con imprevedibili ripercussioni sugli equilibri ambientali globali del pianeta. I pericoli dei cambiamenti del clima sono noti da anni, le evidenze scientifiche si sono confermate, eppure la comunità internazionale resta divisa, molti Stati sono più sensibili a interessi economici, oppure non possono prescinderne per non acuire la povertà fra la propria popolazione. Il mondo attuale è troppo complesso per credere di sistemarlo con delle conferenze annuali cui partecipano tutte le nazioni, ma a queste non si può rinunciare, poiché non esiste alternativa migliore.

Tuttavia, la lotta ai cambiamenti non può fermarsi, e in realtà non si ferma. Al di là degli insuccessi, dei freni politici che possono essere posti (anche in Occidente), la consapevolezza che si debba puntare a «zero emissioni» si fa largo, nella popolazione ma anche in molti paesi, persino negli USA, dove singoli Stati introducono leggi più severe di quelle nazionali decise o bloccate a Washington (dai repubblicani). Contestualmente, oltre a preparare un futuro più sostenibile, bisognerà investire per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Riguarda anche noi, considerato che la Svizzera è uno dei paesi in cui il mutamento del clima risulta più accentuato: caldo e siccità rendono più instabili le montagne e penalizzano l’agricoltura, mostrandoci quanto siamo tutti vulnerabili.