La filosofia sta negli occhi dei bambini

/ 26.04.2021
di Lina Bertola

Il Piccolo Principe ha appena compiuto 75 anni. Era il 6 aprile 1946 quando Gallimard ne pubblicò la prima edizione in lingua originale, mentre una traduzione in inglese era apparsa a New York, già prima della scomparsa del suo autore, Antoine de Saint-Exupéry.

Dopo 75 anni continua ad essere il bambino che riesce a spalancare davanti a noi infiniti mondi. Mondi sconfinati in cui sono custodite magiche verità. Le magiche verità di quel bambino dai capelli d’oro abitano silenziose le sue strane domande e ci trasportano in un universo dai mille linguaggi inesplorati. Ogni frammento del racconto profuma, per così dire, di sacro, ovvero di ciò che sta al di qua di distinzioni, separazioni e misure di cui la ragione ha bisogno per pensare la realtà e i suoi significati. Perché la ragione accoglie il visibile e il dicibile e abbandona l’invisibile al suo silenzio, o all’immaginazione, sua eterna compagna di viaggio. Eppure è possibile sostare sulla soglia di questi confini di senso senza mai attraversarli: è ciò che accade ai poeti, ai folli, e appunto ai bambini. È una vertigine inquietante ma insieme una straordinaria apertura sul «non ancora visto».

«Quando gli parlate di un nuovo amico, dice il bambino, mai si interessano delle cose essenziali. Non si domandano mai: Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle? Ma vi domandano: Che età ha? Quanti fratelli ha? Quanto pesa? Quanti soldi guadagna suo padre».

È bello che tanti lettori, e per così tanto tempo, abbiano continuato a navigare con lui tra pianeti e asteroidi fantastici e continuino ad accompagnarlo in dialoghi rarefatti con la sua amata e fragilissima rosa, o a piangere con la volpe addomesticata o, ancora, a farsi disegnare pecore invisibili. A lasciarsi avvolgere, insomma, in incontri fino a quel momento impensati e forse anche impensabili, per sentirli poi risuonare dentro di sé. Perché, proprio come dice lui, «solo i bambini sanno quello che cercano».
Questo straordinario racconto è anche un invito a guardare un po’ meglio dentro i loro occhi perché in quella luce particolare è custodito qualcosa di grande. C’è la meraviglia, da cui nasce tutto: l’incanto e la domanda vera.

I nostri bambini, quando sappiamo ascoltarli, assomigliano tutti al Piccolo Principe, perché tutti assomigliano alla sua fragile forza nel desiderio di aprirsi alla realtà portando dentro gli occhi anche i battiti del cuore. È in questo incontro con la realtà che nascono le loro domande. I bambini conoscono la potenza e il senso del domandare.

Oggi viviamo in un mondo pieno di tante risposte di cui abbiamo dimenticato le domande, risposte che con la loro accecante visibilità soffocano il nostro sguardo. Capita così che nel loro stupore, in quell’incantamento che illumina gli occhi dei bambini con i loro perché, spesso non sappiamo riconoscere un invito, non riusciamo a cogliere le vibrazioni di un dono: un dono straordinario che ci interpella, che interpella il nostro stare al mondo. Capita così che questo loro invito rimanga inascoltato, mentre restiamo prigionieri della totale visibilità di un mondo dato, di un mondo pieno di dati che riempiono i nostri occhi con la loro ineluttabile presenza.

Pensiamo dentro pensieri già pensati in cui anche le nostre eventuali domande sono solo un rituale imprigionato. Sarebbe bello se qualcuno mi chiedesse se faccio collezione di farfalle ma ha ragione il Piccolo Principe, nessuno mai lo farà.
Eppure l’incantamento di quel domandare che nasce e cresce negli strati più profondi del nostro animo è un grande valore che dovremmo imparare a riconoscere, ad accogliere e a coltivare come una straordinaria risorsa per il nostro vivere e convivere.

Il filosofo Martin Heidegger ci ha regalato un’idea molto bella: il domandare è la pietà del pensiero, perché avere pietà significa prendersi cura delle cose. La domanda nasce dal fatto che il mondo si dà a noi e, di fronte a questo dono, il nostro domandare assume i colori di un ringraziare.
C’è una bellezza nel vivere la domanda che ci trasporta dalla meraviglia di fronte a ciò che si offre a noi fino alla contemplazione di qualcosa che ci svela infine il suo segreto.

Arriverei allora a dire che la domanda è il cuore della filosofia e che la filosofia sta negli occhi dei bambini. Le domande sono filosofiche, non tanto per ciò che chiedono, quanto piuttosto per ciò che muovono in noi, per ciò che desiderano incontrare e comprendere e per come sono abitate dal pensiero e dalle emozioni. Le domande dei bambini custodiscono per noi la speranza, e insieme la promessa, di nuove aperture sempre possibili sul nostro cammino.