La festa dell’albero

/ 23.12.2019
di Franco Zambelloni

Verso la fine di novembre guardavo un elicottero volare a bassa quota nell’azzurro intenso del cielo: portava a spasso, legato ad un cavo, un grosso abete che di lì a non molto, piantato provvisoriamente in una rotonda stradale, sarebbe diventato un albero di Natale.

Fa un curioso effetto vedere un albero che vola; ma, in fondo, nell’immaginario dell’uomo, l’albero è sempre stato connesso con il cielo. Più esattamente: le radici che affondano sotto la terra, il tronco che si leva nell’aria, la cima che punta dritta al cielo ne hanno fatto, in tante culture, il simbolo di un collegamento fra i «tre regni», il cielo, la terra e gli inferi. Per questo il culto dell’albero sacro è sempre stato così diffuso nella maggior parte delle culture: «axis mundi» veniva chiamato nell’antichità, «l’asse del mondo», il pilastro sacro che sta al centro del mondo e che congiunge terra e cielo.

Questo simbolismo profondo condensa, come tutti i simboli archetipici, paure, speranze e sogni dell’umanità, per lo meno dall’inizio delle civiltà agricole: «Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore» – scrive Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi; così, la vegetazione che muore nell’inverno e poi rinasce costituisce un fondamento simbolico della speranza umana di sfuggire alla morte entrando in una nuova vita. L’abete poi – un albero sempreverde – non assume nell’inverno un aspetto cadaverico: è dunque un simbolo perfetto di questo sogno di una vita che si rinnova.

Stiamo per festeggiare il Natale, che è appunto la ripresa cristiana della festa pagana del sole che muore e rinasce: il 25 dicembre, a Roma come in Egitto e come in Siria, si calcolava che fosse il solstizio d’inverno, giorno di un sole invincibile che, dopo il declino del suo periodo di luce, riprendeva vigore; gli Egiziani rappresentavano il sole appena nato con l’immagine di un infante che veniva mostrata ai suoi adoratori, nel giorno del suo anniversario, al solstizio di inverno. Il cristianesimo assimilò questa tradizione fissando al 25 dicembre la nascita del Cristo, che diveniva la nuova figura del processo di morte e resurrezione: un processo che ancora una volta riconduce all’albero – quello della croce. Quell’albero, di certo, non era un abete; ma, mescolando ancora una volta tradizioni diverse, si è preso l’abete dalle culture nordiche, facendone l’albero di Natale. Un bel miscuglio, dunque, ma sempre carico di significati simbolici.

Mi chiedo quanti ancora – soprattutto tra i giovani – siano consapevoli di questi significati profondi. Per molti, ormai, l’albero di Natale fa solo parte della scenografia luminosa che, in questa nostra epoca della festa continua, introduce alle festività di fine d’anno; perciò l’abete dev’essere ritoccato e adornato con fili di lampadine, stelle luminose, palle colorate, nastri d’argento. Dev’essere spettacolo, dunque; e, anche, un annuncio delle vacanze natalizie, delle feste e delle scorpacciate di fine d’anno, dei regali in arrivo (poco importa se a portarli sia Babbo Natale, o San Nicolao, o la Befana, o genitori e nonni: l’importante è che arrivino, che le renne e le strenne siano puntuali).

È pur vero che anche per me, quando ero un bambino (in un millennio ormai lontano), il Natale era principalmente l’attesa dei regali. Ma quell’attesa era punteggiata da tanti segni rituali: il periodo dell’Avvento, con i suoi digiuni, le penitenze, le preghiere, le lezioni di catechismo che ci spiegavano l’importanza e il significato della nascita nella capanna di Betlemme; e poi l’allestimento del presepe, la preparazione dell’albero, sormontato da quella stella con la coda, la cometa, che avrebbe guidato i Magi alla capanna del Bambino Gesù. La festa era dunque arricchita di significati spirituali che, nell’immaginario infantile, assumevano l’effetto fantastico di verità fiabesche e che – come tutte le fiabe che ci venivano lette o raccontate – alimentavano la curiosità, la conoscenza delle tradizioni e trasmettevano di generazione in generazione valori culturali.

Sarebbe bello, dunque, che il Natale continuasse ad essere la festa degli affetti familiari e dei profondi significati simbolici, ma tutto sta ad indicare che la logica del consumismo e della spettacolarità se ne è ormai impossessata saldamente: basta considerare le somme vertiginose spese dai comuni per gli addobbi natalizi e dai privati per porre i regali sotto l’albero. Un albero che poi spesso, passata la festa, finisce per alimentare un camino dal quale non rinascerà.