Aeroporto delle vacanze. Transito. Uno di quei luoghi a ragione chiamati non luoghi, spazi di passaggio di tante vite, senza condivisione, senza risonanze. Solo attesa, caldo e stanchezza.
Nel vuoto di questi momenti può accadere che un bimbetto si avvicini con il tipico sorriso timidamente indagatore che, se sai accoglierlo, crea una magica complicità. È francese e si chiama André.
Così iniziamo un gioco. Chi ci sarà su quell’aereo che sta decollando, e dove andrà? André non ha dubbi: va sulla luna, riporta a casa gli extraterrestri. Magnifico questo altrove dei bambini. E l’aereo che sta atterrando proprio davanti alla nostra vetrata? Un po’ di esitazione e un sospiro, poi si allarga in un sorriso e dice: c’è la nonna che è andata in cielo e ora sta tornando. Fantasie intrecciate al vissuto, a sentimenti, pensieri, emozioni, senza mediazioni. Pura poesia.
Quando andrà a scuola, il mio compagno di attesa imparerà che gli extraterrestri forse non esistono, e comunque noi non li abbiamo mai visti e che sulla luna non possono atterrare. Questo lo sappiamo con certezza, ci siamo già andati in esplorazione e sappiamo anche che attualmente non ci vive nessuno. Quanto alla nonna, imparerà che cosa significa andare in cielo senza poter più tornare. Imparerà le logiche del tempo e il senso della vita.
Con la conoscenza potrà modulare le sue fantasie, le sue emozioni e i suoi sogni. Se incontrerà buoni maestri diventerà una persona capace di riconoscere la realtà ma anche di saper guardare sempre oltre.
L’educazione, o meglio la possibilità di educarsi, lo dice la parola stessa, è una straordinaria occasione per dar forma alla propria vita, per far sbocciare il proprio daimon, il proprio talento, le proprie potenzialità.
Così, all’improvviso, l’allegro panorama vacanziero si cancella e lascia posto, nei miei pensieri, a tutt’altra realtà: alla dolorosa realtà dei tanti bambini che non possono andare a scuola. Oltre la vetrata, nel cielo, scompaiono gli aeroplani e mi vengono incontro le inaccettabili vergogne del nostro mondo.
Qualche settimana fa, in occasione della giornata mondiale del lavoro minorile, l’organizzazione internazionale del lavoro e l’Unicef hanno pubblicato un Rapporto in cui si dice che il lavoro di bambini e adolescenti è tornato a crescere. Sono 180 milioni questi bambini, quattro milioni in più in quattro anni. Inversione di tendenza, dunque, rispetto ai «miglioramenti» degli ultimi vent’anni.
Di questi bambini, settantanove milioni, sei milioni e mezzo in più, svolgono lavori pericolosi che possono danneggiare la salute e lo sviluppo psicofisico e morale. Nell’Africa sub sahariana, ma anche in Asia, nel Pacifico e in America latina. Numeri e statistiche, la cui freddezza e oggettività, come spesso accade in questo mondo sempre più dominato da misure e algoritmi, rischia di non farci più sentire la presenza delle persone nella loro concreta fisicità. Bambini in carne ed ossa diventano numeri, numeri difficili perfino da immaginare nella loro mostruosa grandezza. Il rischio di questa, pur importante, descrizione puntuale del problema è quello di produrre un’ulteriore forma di oggettivazione del mondo. La conoscenza, come accade fin dalla rivoluzione scientifica, crea una distanza tra noi e le cose studiate. Questo è certamente un vantaggio per la conoscenza scientifica ma laddove si calcola e si misurano persone e sofferenze umane il rischio è quello che la distanza riesca in qualche modo ad anestetizzare le nostre coscienze.
Il Rapporto spiega anche che sono scelte delle famiglie, scelte disperate di famiglie in difficoltà. Poi arriva la pandemia e le scuole chiudono completamente.
Penso al piccolo André, ai suoi sogni e alle sue fantasie, e al cammino di crescita che incontrerà nella sua vita. E poi penso a questi bambini privati della loro infanzia, schiacciati su un presente che imprigiona il loro corpo e il loro animo. Bambini privati della loro dignità di bambini. Privati del tempo dell’educazione, senza conoscere e abitare il tempo dell’educarsi, con calma, come sosteneva Rousseau. Certo, sapranno ridere e giocare forse con più entusiasmo e stupore di quello che non riusciamo più a trasmettere ai nostri figli del benessere. Ma questo è solo moralismo consolatorio. I bambini hanno tante risorse e sanno sorridere anche in faccia alla sofferenza.
E nemmeno i tanti zeri di 180’000’000 riescono a farci percepire la tragica grandezza di queste sofferenze.
Nemmeno il piccolo André saprebbe ospitarli tutti sul suo aeroplano dei sogni per portarli in un mondo migliore.
La dignità dei bambini va protetta
/ 05.07.2021
di Lina Bertola
di Lina Bertola