La crisi della monogamia

/ 20.03.2023
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
se mi guardo intorno trovo che le coppie stabili e felici sono quasi inesistenti. Le poche che mi sembrano tali sono nella fase dell’innamoramento e non so quanto durerà. La maggior parte degli ultracinquantenni ha almeno un divorzio alle spalle e la fine delle convivenze è difficile da rilevare.Sono uno psicoterapeuta di lunga data e di storie coniugali ne ho ascoltate tante ma ora l’universo matrimoniale mi sembra più confuso che mai. La maggior parte delle coppie vive nell’infelicità e molti cercano una soluzione ricorrendo all’antica pratica del tradimento tenuto, per quanto possibile, segreto. La trasgressione alimenta l’eccitazione ma dura finché dura. Il disvelamento dell’adulterio costituisce poi il più frequente movente delle separazioni e dei divorzi. Altri continuano a vivere insieme come niente fosse avendo reciprocamente accettato di avere entrambi un altro partner. Ma condividere la casa, il lettone, l’organizzazione familiare e le spese quotidiane fa sempre comodo. Senza sottovalutare che, in caso di crisi con l’amante, resta disponibile un comodo retrovia coniugale. Esiste poi una novità, che non è la coppia aperta degli anni della contestazione, ma un contratto esplicito e sottoscritto in cui i coniugi, considerandosi una coppia senza alcun obbligo di fedeltà, si consentono di praticare esplicitamente il «poliamore», inteso come libertà di mantenere, oltre al matrimonio, molteplici relazioni sessuali. Un esperimento che alcuni considerano destinato a prevalere. Lei che ascolta tante voci che ne pensa? /
Lettera firmata

Caro collega,
sembra anche a me che la monogamia sia in crisi e, come in altri, campi, si stiano cercando alternative. Come sostiene il filosofo Zygmunt Bauman, viviamo in una società liquida dove la coppia tradizionale, travolta da un profluvio di informazioni e di tentazioni, rischia di dissolversi. Tuttavia, e questo è il mio punto di vista, l’ideale dell’«uniti per sempre» permane e rende ogni altra possibilità inquieta e insoddisfacente. Più moltiplichiamo le relazioni più le rendiamo superficiali e non credo che la quantità possa sopperire alla mancanza di qualità.Di una cosa sono certa: che i bambini desiderano, anzi lo considerano un diritto, essere amati e cresciuti in una famiglia sicura, dove papà e mamma sono unici, uniti e coerenti. Nel mio libro Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Mondadori, raccolgo le toccanti testimonianze delle sofferenze che provano quando i dissidi coniugali minacciano la stabilità della loro vita. È vero che molte coppie, come dimostra l’inverno demografico, non hanno nessuna intenzione di avere un figlio, ma tutti si nasce tali e permane in noi una componente d’infanzia che ha fisso nella mente il triangolo: padre, madre, figlio. Di conseguenza, ogni alternativa suscita un conflitto interiore ancor prima che esteriore.

Dalle poche inchieste esistenti, sembra che i «poliamorosi» siano soddisfatti sessualmente e che si considerino vittime d’inutili atteggiamenti moralisti. Ma può bastare? E quanto dura la gratificazione erotica? La nostra identità è costituita, non solo di rapide emozioni, ma da affetti e sentimenti stabili e sicuri. Il «poliamore» sembra ricercato da personalità che amano le tensioni, i rischi, le situazioni estreme ma mi sembra che la nostra epoca, tra guerre, pandemie, crisi economica, collasso degli equilibri naturali, ce ne offra un’ampia gamma. Forse stordirsi d’incontri più o meno occasionali costituisce un tentativo di fuga da una realtà che fa paura e che non ci sentiamo più in grado di controllare. Eppure esistono ancora coppie positive, capaci di reggere, anche superando momenti di crisi, la sfida della fedeltà. Nella confusione in cui ci troviamo sarebbe opportuno, soprattutto per le giovani generazioni, ascoltare la testimonianza di coniugi che hanno saputo vivere e invecchiare insieme, accettando di porre limiti all’intemperanza dei desideri. Mi sembra che l’unico antidoto al groviglio di alternative in cui molte coppie si dibattono sia una presa di responsabilità globale e collettiva, trasmessa attraverso l’educazione.Una posizione etica che permetta a ognuno, senza stigmate e anatemi, di esprimere le proprie potenzialità tenendo conto che apparteniamo tutti alla stessa famiglia, quella umana, dove nessuno può essere felice senza armonia con sé stesso e con gli altri.