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La convivenza in famiglia

/ 30.11.2020
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
siamo quattro adulti costretti dalla pandemia a vivere insieme notte e giorno. Mentre io mi collego all’ufficio, i nostri figli Marco e Ugo, fanno lo stesso con le lezioni e i compagni. Mio marito invece è andato in pensione proprio quest’anno. Spetta comunque a me organizzare le faccende di casa, i pasti, le spese, anche se i maschi sono disposti a darmi una mano quando la chiedo. Ma non è di questo che vorrei parlare. Siamo sempre stati una famiglia «veloce», di quelle che s’incontrano per la prima colazione e si ritrovano per cena. Due parole per aggiornarci e programmare gli impegni dell’indomani. Ora invece il fatto di trascorrere tante ore insieme ci obbliga a conoscerci meglio e a prendere atto delle differenze. Mentre Marco, che non è mai stato di molte parole, ha finito per racchiudersi in se stesso, tra me e Ugo si è creata una confidenza spontanea e un dialogo profondo. Ugo mi parla di sé, dei suoi problemi e delle sue speranze e, cosa rara, mi ascolta, chiede di conoscere avvenimenti del passato che appartengono alla storia di famiglia. La persona più insofferente è mio marito che gira per casa come un’anima in pena. L’unica domanda che mi sento rivolgere da lui è: «cosa si mangia?». Un po’ poco non le sembra? Vorrei tanto stabilire un clima armonioso ma non so da che parte cominciare. Maledetto Covid 19! /
Leo

Sì, «maledetto» per tante ragioni ma forse anche un po’ «benedetto» se ha fatto emergere un problema così importante. In fondo la vostra famiglia non funzionava benissimo neppure prima quando v’incontravate solo per lasciarvi subito dopo: ognuno per sé e dio per tutti. L’esigenza di fluidità, di relazioni reciproche, di scambi incrociati senza esclusioni non era soddisfatta neanche allora. Solo che, probabilmente, non lo sapevate. La fretta, l’urgenza degli impegni quotidiani, lo stordimento di un eccesso di stimoli, possono funzionare da anestetico rispetto a interrogativi inquietanti, quelli che riguardano il senso della vita. Spesso si sta insieme per abitudine, senza chiedersi come e perché. Ora che la routine precedente si è infranta, sta emergendo la necessità di trovare nuovi modi di esistere e di comunicare. Ognuno di voi ha reagito secondo la sua personalità e la sua storia ma con gradi diversi di difficoltà. Direi che in questi frangenti le persone più in crisi sono i mariti.

Da secoli gli uomini vivono prevalentemente fuori casa, nella comunità dei colleghi e degli amici, per cui trovarsi soltanto con i familiari gli va stretto. Anche l’uso degli spazi è diverso: fin da piccoli i maschietti amano i luoghi aperti, cercano di allontanarsi, di andare oltre, di esplorare, mentre le bambine preferiscono circoscrivere lo spazio, organizzarlo, accomodarsi dentro, disporsi in circolo, scambiare confidenze. Per cui, per quanto gli uomini apprezzino la propria casa, se rimane l’unico spazio, la sentono stretta. Immagino che a suo marito sarà riservato un angolo dove appartarsi: una comoda poltrona, una lampada a stelo, un porta giornali ben rifornito. Se prima gli andava bene, ora quell’angolo gli appare una gabbia. Cerchi di stanarlo organizzando momenti un po’ speciali, quali l’ora dello spuntino, dell’aperitivo, del telegiornale. Trovi pretesti di condivisione, come leggere lo stesso romanzo confrontando poi le valutazioni personali. In questo periodo gli argomenti di attualità non mancano ma a conversare s’impara e le donne hanno in proposito un talento naturale. Nel suo caso lo può utilizzare, cara Leo, per coinvolgere suo marito, sollecitare il suo parere, chiedergli collegamenti, dati e informazioni. Gli uomini sono sempre convinti di saperne di più e, di fatto, hanno una mente più organizzata e un pensiero più circostanziato del nostro. Se il suo «orso» aveva degli hobby, degli sport, degli amici, lo aiuti a recuperarli. Molti uomini fanno fatica a prendere in mano il telefono e a chiedere di incontrarsi. Preferiscono i tempi e i modi predefiniti offerti dal lavoro.

Quanto ai figli, evidentemente sono molto diversi. Mentre Marco è un introverso, Ugo ha un carattere estroverso. Per il primo comunicare è un dovere, per l’altro un piacere. I temperamenti sono innati e non si possono cambiare, ma modificare sì. Forse l’intimità che si è stabilita tra lei e il secondogenito ingelosisce gli altri familiari che si sentono esclusi. Cerchi, con sensibilità femminile, di essere equanime, di esercitare una giustizia distributiva dando a ciascuno il suo. Anche i compiti domestici andrebbero suddivisi e svolti a turno. Chi l’ha detto che tutto ricada sulle spalle della madre di famiglia? Renderli intercambiabili susciterà qualche discussione e magari qualche baruffa ma non deve aver paura: litigare fa bene. È un modo per esprimere le proprie insofferenze e le proprie esigenze senza tacitarle.

Ultimamente ho assistito a uno straordinario rinnovamento dei rapporti familiari con l’arrivo di un animale domestico. Un cucciolo aiuta a ravvivare la curiosità, coordinare gli interessi, trovare parole nuove per esprimere le proprie emozioni. Gli animali rappresentano la nostra parte più fragile, i residui d’infanzia, i bisogni d’attenzione e di cura rimasti insoddisfatti ma che si possono appagare indirettamente. Ma non solo, i cuccioli sono una bomba di allegria, di voglia di crescere, d’imprevisto. Mentre noi impariamo a conoscerli e apprezzarli, loro diventano sempre più intelligenti, sensibili… umani. Un incontro che crea nuovi, sorprendenti rapporti reciproci.