La confiserie Wodey-Suchard a Neuchâtel

/ 22.11.2021
di Oliver Scharpf

L’arte di guardare il paesaggio dal treno è come una specie rara, va protetta. E allenata, con metodo e abbandono totale. Stamattina catturo un gatto in un prato, il movimento della bruma che si leva adagio dai boschi, la prima neve sulle montagne, pecore ouessant, uno sprazzo di pace lacustre che serve a ricapitolare in un batter d’occhio la propria vita, la salvezza selvaggia dei boschi scuri di conifere infreddolite appena appena. Inizia la stagione per rintanarsi, in certi tearoom lontani, a sorseggiare cioccolate calde. Anche se la vera ragione del viaggio oggi sono le truffes: il punto forte della confiserie Wodey-Suchard a Neuchâtel (434 m) la cui vecchia insegna – avvistata ora, un mattino di metà novembre – in verde scuro e lettere d’oro, con lo stemma cittadino che raffigura l’aquila prussiana, è indizio di luogo serio e invoglia già. Il nome, poi, evoca i risvegli della mia infanzia legati all’apertura del barattolo di Suchard Express. Ma è la lastra commemorativa, accanto alla porta d’entrata, a impressionare. «Il 17 novembre 1825, Philippe Suchard, fondatore delle fabbriche di cioccolato Suchard, aprì un negozio in questo immobile dove fabbricò il suo primo cioccolato» si legge scolpito nella pietra. Della posa di questa iscrizione – prequel fulmineo del cacao in polvere nato nel 1954 che allietava le mie colazioni di un tempo – sulla facciata in pietra arenaria color burro, al cinque della rue du Seyon, ne dà notizia il «Feuille d’Avis de Neuchâtel» il diciassette novembre 1949.

È da settantadue anni dunque che i passanti non troppo disattenti si ritrovano d’un tratto, davanti al naso, l’inizio della storia di Philippe Suchard (1797-1884). Chocolatier la cui gloria è stata esposta, in parte, al Musée d’art et d’histoire – dieci minuti neanche a piedi da qui – dall’aprile 2009 al gennaio 2010, con il titolo Le monde selon Suchard. Il nome Wodey invece, viene dal genero, Edouard Wodey (1819-1876) che sposa la figlia Louise Suchard (1830-1904): la coppia, dal 1860 via, prende in mano questa confiserie oggi anche pasticceria e tea-room. Wodey-Suchard è la graziosa scritta rétro che si dispiega in corsivo, sotto la tenda, appena sopra la vetrina. Dove in bella mostra ci sono, oltre a diverse pigne decorative in fila indiana, millefoglie, puits d’amour, tartelette al limone meringate, tartellette chocolat-framboise, japonais, babà, mousse centenaire, passion, mandarine, torta intera di mele, fette di torta alle nocciole ricoperta di glassa, carac, e altro ancora.

Entro e vado, concentrato, a sedermi nel tea-room. Il latte caldo viene servito a parte, così uno dosa, a sentimento, la sua quantità di latte che incontra il cioccolato, fondendosi: una specie di crema scura, miscela di tre tipi, in fondo alla tazza. Niente male. Peccato solo che il tea-room sia rinnovato e perda quel gusto demodé che amo molto nei tea-room, bar, ristoranti, hotel, tutto. All’antica però, grazie al cielo, sono ancora fatte – arrotolate a mano – le truffes, il prodotto faro di questa chocolaterie storica ripresa nel 2004 da due giovani in gamba: Jöel Cuche e Cédric Chammartin. Centocinquanta grammi, in prevalenza double crème e centenaire – la loro grande specialità – in un bel sacchetto color rame lucido, e via. Sul bus centodue, verso Serrières, un angolo di Neuchâtel dove in un vallone urbanizzato, dal 1826 fino al 1990, c’erano le fabbriche Suchard. E così, nel bel mezzo dell’autunno, mi gusto, a go go, senza nessunissimo senso di colpa, le truffes Wodey-Suchard. Quelle al caramello e cioccolato fondente ottime, le double crème magnifiche, ma con le centenaire non c’è gara: si sciolgono in bocca in un attimo, aeree, volatili, sublimi. E non sono un fan estremo delle truffes, perciò ho detto tutto. Eppure di princisbecco rimango solo quando vedo di colpo, dal finestrino, luccicare la più ambita preda di questo détour Suchard.

Il minareto, costruito come un belvedere, in cima alla casa, vicina alle fabbriche, di Philippe Suchard. Scendo al volo e imbocco la rue Farel. E lassù in cima, ecco, in tutto il suo splendore disorientante, con cupole assortite e vetrate, il miniminareto di Suchard. Una follia architettonica, creata da Louis-Daniel Perrier verso il 1868, un mix, miniaturizzato come torretta-mirador, tra il palazzo Topkapi di Istanbul e qualcosa del pavillon orientaleggiante di Brighton.