La coltivazione del futuro

/ 25.06.2018
di Natascha Fioretti

Metti una settimana al mare in Maremma e una pranzetto in una fresca merenderia all’ombra di uno dei vicoletti del centro di Castiglione della Pescaia. Metti un gerente molto simpatico e alla mano, di una certa età che di professione è un odontoiatra, ha uno studio a Siena, e per passione prepara piatti freddi con i prodotti tipici della zona, alcuni dei quali in vendita su rustici scaffali di legno. Non può non uscirne qualcosa…

Ordino subito le bruschette con i pomodorini freschi, pomodorini che scopro essere eccezionalmente buoni. Tra una gentilezza e un boccone si finisce in chiacchiere e Paolo, così si chiama il gerente, ci racconta dei suoi prodotti, gli chiedo della provenienza dei pomodorini. Mi dice che sono speciali, li compra in un’azienda aperta da poco che produce pomodori in coltura idroponica. Mai sentito. Me lo segno e una volta a casa faccio qualche ricerca in Rete. Scopro che l’azienda si chiama Sfera Agricola ed è a 30 km circa da Grosseto, tra le colline toscane nella zona di Gavorrano. Scopro anche la coltura idroponica, la parola deriva dal greco antico e significa hýdor, acqua, e pónos, lavoro, è una tecnica di coltivazione fuori suolo o senza suolo, dove la terra è sostituita da un substrato inerte, solitamente argilla espansa, fibra di cocco, lana di roccia o zeolite. 

In sostanza il termine idroponica indica le colture senza substrato o su mezzo liquido, colture che includono una vasta gamma di sistemi, in cui il rifornimento di acqua ed elementi nutritivi avviene grazie alla somministrazione di una soluzione nutritiva composta da acqua e nutrienti in essa disciolti. Incuriosita, anche perché grazie a questo sistema i pomodorini sono privi di nichel, vado a visitare l’azienda che scopro essere gigantesca, per la precisione la più grande serra idroponica d’Italia che conta un investimento per 19 milioni di euro e si estende su circa 20 ettari di terreno: 13 dedicati alle serre high tech per la produzione di ortaggi e 7 ettari dedicati alla raccolta di acque piovane in grandi bacini e i locali tecnici. È prevista la produzione di biomasse tramite la coltivazione di microalghe per riscaldare le serre nei mesi invernali. 

Questo tipo di coltivazione è a circolo chiuso, sostenibile, permette un notevole risparmio e recupero delle risorse idriche, non utilizza pesticidi e avviene su terreni dismessi o non adatti all’agricoltura. Facciamo un esempio: per produrre un chilo di pomodori in terra occorrono dai 70 agli 80 litri d’acqua, in serra soltanto 2 litri di acqua. Oltre l’80% di questa viene recuperata in acqua piovana. 

La filosofia è produrre di più e meglio con meno. Ci sono paesi come l’Olanda in cui i pomodori e gli ortaggi tecnologici hanno già preso piede e ci sono diverse aziende attive nel settore come la Rainbow International e la Dry Hidroponics. In Svizzera a produrre la prima insalata idroponica è stato Fritz Meier a Dällikon nel Canton Zurigo (attualmente fornitore di Migros a livello nazionale), nel nord del Canton Vaud c’è invece la start up Combagroup, progettista di serre, e a Bellinzona per quanto riguarda la coltura idroponica su più piccola scala c’è Swissponic, una start up di sei giovani che sognano di riavvicinare l’uomo e l’agricoltura tramite il computer.

Le serre che ho visitato sono di ultima generazione con sistemi altamente automatizzati ed efficienti per la gestione del clima e della soluzione nutritiva da somministrare alle piante. Sembra di entrare in un laboratorio, si lavora in camici bianchi per non portare inquinanti, si usano insetti al posto dei pesticidi e i sensori di temperatura e umidità collegati a computer monitorano in tempo reale ogni centimetro e ogni processo per evitare sprechi. Quando vieni a contatto con una realtà così sembrano non esserci dubbi: la nuova agricoltura è agritech e i nuovi contadini sono impegnati in un’agricoltura sostenibile che si impegna a rispondere alle future sfide ambientali e alimentari.