Giovedì tre dicembre tutti i giornali danno la notizia della morte, a novantaquattro anni, dell’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. Caramel et chocolat, le Giscard est immortel è il titolo, il giorno dopo, di un articolo su «Le Temps». Già in fase tea-room con un programma stabilito di perlustrazioni, la notizia-choc dell’esistenza di un tea-room a Losanna che da più di mezzo secolo produce un cioccolatino speciale chiamato da decenni Giscard in onore del presidente della repubblica francese dal 1974 al 1981 perché ne andava matto e ne ordinava una scatola a settimana, scombussola i miei piani. Parto appena posso. Wuthrich, il nome non mi è nuovo – a differenza di Giscard – e credo di esserci stato distrattamente un ventennio fa. L’indirizzo è avenue Juste Olivier undici: appena uscito dalla stazione m’incammino secondo l’itinerario memorizzato. Un pezzetto lungo avenue de la Gare, svolto giù per l’Avenue d’Ouchy dove a sinistra imbocco l’avenue Auguste Tissot che sbuca dove deve e vedo, dopo undici minuti, tra i fiocchi di neve, la scritta bianca in un bel corsivo sulle tende verde scuro: Wuthrich.
Le vetrine già dicono molto, o quantomeno mettono in mostra l’altra specialità della chocolaterie-tea-room Wuthrich (463 m): la Stéphanie. E anche i cake anglais guardano fuori bene. Dentro, centro subito con lo sguardo le scatole di Giscard ben allineate sugli scaffali. Avvolte, come pacchetti regalo, in carta rossa, blu, o argento (al latte, chocolat noir, misti); tutte con nastrino tricolore francese. Madame Kopp mi serve, su un piattino, due Giscard – uno al latte uno nero – con il quale mi dirigo nel tea-room semicircolare. Nove tavolini, sei dei quali posti lungo la circonferenza a tutto vetro, cuscini verde scuro, legno chiaro, tende a fiori, lampadario. Niente di eclatante ma di tutto rispetto, come dev’essere un tea-room desueto, con quel tocco letargico di atemporalità. Provo il Giscard, delirio. Caramello, ganache, cioccolato, e nougatine si fondono sinfonicamente in bocca. Creato negli anni sessanta da Jean Wuthrich, in origine, questo cioccolatino a forma cilindrica con il ripieno formato da un fondo di caramello liquido e ganache, ricoperto da un tetto rotondo di nougatine, si chiamava Rigoletto. Ribattezzato Giscard, per omaggiare Valéry Giscard d’Estaing che nei primi anni settanta scopre per caso, entrando qui, questo cioccolatino e se ne innamora al punto da non poterne più fare a meno. L’opera in tre atti di Verdi, rimpiazzata, rimane però nell’aria. Volatilizzati i due Giscard, balzo a procurarmene un altro paio al volo. Al terzo Giscard capisco. Tutto in bocca in un colpo, senza timori, solo così esplode al meglio, adagio, lasciando a galla come relitti della goduria, le sottigliezze croccanti di nougatine.
Tre giorni, rivela Egon Kopp – successore fedele di Jean Wutrich nel 1996 – ci vogliono per realizzare questo cioccolatino chiamato così, ufficialmente, dal primo dicembre 1993 con tanto di autorizzazione esclusiva scritta dell’illustre cliente di passaggio conquistato a vita. Il primo per il guscio cilindrico di cioccolato, al latte o nero, il secondo per il ripieno formato dal fondale di caramello e la ganache, il terzo per il coperchio di nougatine. Un’opera in tre atti che assaporo ancora, in un boccone, approfondendo lo studio del meccanismo sottile del piacere provocato, un pomeriggio di metà dicembre mentre nevica. Ricordo ora la circolarità del posto, tipica di certi tea-room retrò in stile bomboniera capaci di smorzare il male di vivere. La neve fuori, all’angolo con Avenue des Alpes, accentua la fuga dal mondo. Colette, accanto, una psicologa habitué, legge con calma «Le Temps» divorando un opéra formato mignon. Theresa, austera cameriera piena di umanità nascosta, mi porta il secondo caffè che sorseggio assaggiando una mini-Stéphanie. Simile al macaron, è composta da due biscotti sablé al cioccolato farciti da ganache e ricoperti di glassa al cioccolato. Mistero fitto sul nome – non per via di Stéphanie di Monaco perché la specialità risale, dicono, agli anni cinquanta, e la cantante di Ouragan (1986) è del 1965 –, è un piccolo prodigio. Esiste anche in versione micro e in due taglie più grandi, come quelle in vetrina, cosparse da violette candite.
Sotto le feste, sono tentato dallo stollen. Merita, ricetta di Dresda. Alle spalle sento un continuo viavai di clienti che entrano per le scatole di Giscard. Costano una fucilata ma una scatola in dispensa, se non vi salva la vita potrebbe, almeno, dare un significato alla giornata. «Cucù»: un’amica saluta così Colette. Metto alla prova l’éclair: piccola ma perfetta. Se non avessi smesso di fumare la pipa a ventidue anni, continuerei il pomeriggio andando su dal tabaccaio di Simenon. Al ventidue di Rue de Bourg c’è ancora il tabac Besson, dove negli ultimi quindici anni della sua vita si riforniva di tabacco per la pipa, il papà di Maigret, le cui ceneri sono state sparse sotto un cedro del Libano che non c’è più – assieme a quelle della figlia Marie-Jo morta suicida a venticinque anni – in Avenue des Figuiers dodici. Invece rimango rintanato qui nel tea-room demodé di Avenue Juste Olivier undici, studiando il legame tra inezie e destino. Tra l’altro, Juste Olivier (1807-1876), poeta incompreso e dimenticato, è l’autore di una monumentale opera sul Canton Vaud ed è considerato perfino, secondo l’autorevole professor Daniel Maggetti, l’inventore sconosciuto del Vaud.