Sullo sfondo dell’ultima opera di Marcel Duchamp (1887-1968), visibile solo sbirciando da un buco in una porta di un vecchio fienile trovato a Cadaqués, si può notare una cascata. Un dettaglio che potrebbe passare inosservato ma è indicato nel titolo: Étant donnés: 1° la chute d’eau 2° le gaz d’éclairage… (1946-1966). L’illuminazione a gas invece è più evidente, si tratta di una vera lampada a gas tipo becco Auer sospesa in corrispondenza della cascata boschiva. Stretta nel palmo della mano di una donna nuda sdraiata su un mucchio di sterpaglie secche in una posizione che ricorda il cadavere di un delitto sessuale o L’origine du monde (1866) di Courbet, rischiara il paesaggio dipinto in lontananza come nei quadri rinascimentali.
Il Lemano riempie gli occhi appena sceso alla stazioncina di Chexbres, comune viticolo del Lavaux il cui punto di vista panoramico si ritrova in diversi Hodler. La vista si spinge fino laggiù a La Tour-de-Peilz dove guardacaso muore Courbet. Da queste parti dovrebbe esserci la cascata dell’enigmatica installazione montata espressamente dopo la morte di Duchamp, seguendo il suo rigoroso manuale di istruzioni, al Philadelphia Museum of Art. La crea un fiumiciattolo di nome Forestay che segna il confine con il territorio comunale di Puidoux.
È stata identificata qualche anno fa da Stefan Banz, artista e curatore classe 1961 di Sursee stabilitosi a Cully – cinque chilometri neanche da qui – con Caroline Bachmann, altra artista originaria di questo paesino in riva al Lemano. Calvin Tomkins, autore e critico del «New Yorker», nella sua biografia di Duchamp uscita nel 1996 presumeva che la cascata si trovasse in Svizzera, per via di un soggiorno di cinque settimane nel 1946. Essendo dati una foto in biancoenero scattata dallo stesso Duchamp conservata sempre a Filadelfia e cinque notti con la sua amante all’hotel Bellevue di Chexbres-Puidoux, il rebus è risolto. Comunicata la scoperta a Filadelfia, Banz e Bachmann vengono incoraggiati a organizzare un simposio sfociato poi in un libro intitolato Marcel Duchamp and the Forestay Waterfall (2010). Al contempo consacrano a Duchamp, davanti casa, il più piccolo museo del mondo aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Una specie di uovo kinder gigante in rame smaltato con una vetrinetta alla quale il visitatore deve avvicinarsi bene per vedere le opere in miniatura in mostra: la Kunsthalle Marcel Duchamp di Cully.
All’altezza del Garage de la Corniche, sotto il ponte stradale, ecco il Forestay che scorre un po’ striminzito. Dopo un altro ponte più antico, sparisce sotto le rotaie. Un cartello indica la località Bellevue, nel comune di Puidoux. Faccio una ventina di metri sulla strada e poi mi giro di colpo, eccola. La cascata Duchamp a Chexbres (576 m) in una giornata di pioggia e bel tempo a metà maggio. Il punto di partenza di un capolavoro supera le aspettative, a dire il vero mi aspettavo una cascatucola enfatizzata poi un po’ collegandola all’Etant donnés per farsi pubblicità. E invece non è una cascata come tante altre e non è difficile immaginare l’inizio del labirinto mentale di Duchamp. Casca in tre fiotti, a tre altezze diverse, sopra pezzi atavici di molassa. Intorno una trasandata boscaglia, inedita per la zona perfettina, che s’infossa in un vallone. Al suo fianco delle case, tra le quali un ex mulino, mentre su una c’è una vecchia scritta: distillerie.
Avanzo di qualche passo per guardarla da una prospettiva più voyeuristica, come nel diorama ermetico di Duchamp composto da quarantotto materiali diversi, tra i quali i mattoni in cotto per il muro dietro la porta oltre il quale, attraverso una breccia, si posa l’occhio. Peepshow alchemico che richiama il prospettografo di un’incisione di Dürer del 1525. E così ora, tra le fronde dei noccioli, occhieggia la cascata ispiratrice dell’opera concepita in segreto per vent’anni, mentre tutti pensavano che avesse voltato le spalle all’arte per dedicarsi esclusivamente agli scacchi. Alle mie spalle, dall’altra parte della strada, sul curvone, c’è l’ex hotel Bellevue trasformato nell’hotel Baron Tavernier con spa eccetera.
Da quelle stanze la vista lemanica dev’essere imprendibile come quei cinque giorni d’inizio agosto del 1946 quando Duchamp annota che «il lago cambia vestito ogni ora». Eppure il suo sguardo si distoglie verso una bellezza meno eclatante, più dimessa, modesta, introversa. Non stupisce da uno che giusto cent’anni fa ha messo al tappeto l’arte moderna capovolgendo un orinatoio in fontana. Torno sui miei passi per ritrovare in primo piano la cascata Duchamp. In paese mi hanno raccontato che un garagista in pensione, da anni, proprio lì nella pozza della cascata, pesca oggetti levigati e trasformati dall’acqua calcarea che cade a capofitto. Tipo molle del letto, bulloni, una ruota di bicicletta con forcella.