Das blaue Licht (1932) si apre con la cascata di Foroglio. La prima inquadratura del primo film di Leni Riefenstahl (1902-2003) la ritrae in lontananza, per dieci secondi, assieme al paesino di pietra. Alle dieci e quaranta a Bignasco, mi metto in cammino sul sentiero della transumanza, al fianco destro della Bavona. La grande sorpresa è il rosa estroso del giglio martagone mai incontrato prima d’ora. Nel bosco, tra Fontana e Sabbione, uno spiraglio mostra lassù, il biancore acqueo che cade. Bisogna macinare ancora un paio di chilometri tra i massi ciclopici, un paio dei quali utilizzati una volta come giardini pensili, per vederla meglio, sbucando sulla strada. Si vede come si deve appena dopo una cappelletta di spalle, sopra un prato appena falciato, proprio prima del cartello che annuncia Foroglio.
Il fragore da qui è più che un prologo. Incanta il pulviscolo biancastro che s’innalza dopo lo schianto invisibile. La stessa scena la vediamo in primo piano quando la storia di Junta – innescata dalla curiosità di una coppia di forestieri appena arrivati all’osteria e rapiti da quel ritratto ovale ornato di cristalli – parte in flashback, attraverso una dissolvenza incrociata sotto la cascata. Dove appare il volto spaventato e bello di Leni Riefenstahl, incorniciato dallo schiantarsi impetuoso della cascata che attrae e ritrae al contempo lo sguardo. Raccoglie un grosso cristallo e scappa via, balzando felina da un sasso all’altro. Al ponte c’è posteggiato un pullman di turisti. Molte macchine nel posteggio, un andirivieni di piedistalli e maxiobiettivi o quant’altro serva per immortalare la cascata di Foroglio (684 m) che dal ponte mette tutti in secondo piano e s’impone imperiosa e sacrale. Se le altre due famose cascate ticinesi prendono il nome una dal riale e l’altra da una santa, la Froda deriva il suo nome da come si dice cascata in dialetto.
La luce blu del film – persa nel titolo italiano tradotto da cani con La bella maledetta – la cui trama è tratta da una leggenda delle Dolomiti, proviene invece dal Monte Cristallo, le notti di luna piena. Per cercare l’origine misteriosa di questa luce mistica, molti giovani del paese arrampicandosi sul Monte Cristallo – realmente collocato a nord est di Cortina d’Ampezzo ma nel film è il Monte Crozzon nelle Dolomiti del Brenta – muoiono cadendo. L’unica che sale su come uno stambecco per raggiungere la grotta segreta tempestata di cristalli dove si origina la luce blu, è Junta: considerata come una strega dalle donne del villaggio e bramata dagli uomini per la sua bellezza selvatica. Ex ballerina di talento infortunatasi al ginocchio e poi star di film montani, Leni Riefenstahl esordendo come regista avrà la sua parte di gloria, finendo nel febbraio 1936 sulla copertina del «Times» in costume da bagno sugli sci. Ma l’amicizia con Hitler e il Terzo Reich la ingoieranno in un baratro, la cui ombra sembra seguirla ancora.
Oltre il ponte, dal 1928, c’è un’osteria che prende il nome dalla cascata. L’osteria La Froda, gestita per trentacinque anni da Lidia e Nino Bertoli, dal 1994 viene presa in mano dalla figlia Sara con il marito Martino Giovanettina, oggi aiutati dai figli. Un tavolo di granito con gazosa al mandarino vista Froda, corona la camminata ai primi di luglio. Oltre a un’ottima polenta con brasato qui si scopre, a quanto pare, la vera altezza della cascata. In Una guida alla terra e allo spirito di Foroglio (2009) a cura dell’oste e suo figlio, si trova scritto che qualcosa non quadrava con l’ottantina di metri dell’altezza ufficiale: «è bastato un consulto con Luigi Martini, vecchio capomastro con il teodolite sempre pronto, ed ecco la nuova misura: 110 metri». Panna cotta con salsa tiepida ai mirtilli e via, in mezzo al paese, per salire al cospetto del riale Calnegia che cadendo, prima di essere il maggior tributario della Bavona, è la Froda. Inseparabile, per chi ha visto il film, da quel volto volpino in allarme come una Madonna. Ma dal vivo supera l’intreccio cinematografico del suo destino, ipnotica ti cattura nella sua caduta assoluta e fragorosa, cadi nel suo incanto che qui da vicino sembra concentrare tutto il carattere «dionisiaco» percepito in queste valli dal mitologo ungherese Karl Kerényi. La definizione «luogo di forza» in uso oggi, non solo è riduttiva ma viene spazzata via con forza in questo luogo. Né il cinema né le parole possono tenere il passo con questa potenza rigeneratrice. Una furia sublime che toglie il fiato, bellezza senza tregua, da temere sennò sei morto.
Vorresti andare sempre più vicino per fonderti con la Froda ma verresti macellato tra i massi, credo. Già solo a una ventina di passi mi prendo un’allegra lavata da capo a piedi. In realtà il sentiero ideale, forse, è quello più semplice che parte appena sotto la terrazza dell’osteria. In un amen si arriva sotto la Froda e la si abbraccia con lo sguardo inquadrandola in tutta la sua maestà. Il masso che copre pudicamente lo schianto sembra un enorme altare. Mi siedo su un sasso e mi libero dai sogni infranti, una rinascita spirituale qui è possibile, la frescura estiva garantita.