L’alchemilla, in una piccola caraffa di vetro accanto allo zucchero di canna, accoglie chi si siede a uno di questi dieci tavoli sospesi sul lago di Costanza. I suoi fiorellini giallo-verdognoli sono a corimbo, la giornata nuvolosa, la cameriera sorridente. Tre i tavoli in metallo che si affacciano sul rettangolo d’acqua ritagliato dentro la Badhütte di Rorschach (397 m). Comune del canton San Gallo dove non ero mai stato che mi ha sempre fatto venire in mente, per prima cosa, le macchie di Rorschach. L’acqua è verdastra: due erbacce acquatiche, crescendo quasi fino in superficie, ondeggiano simmetriche e sireniche. L’omonimia tra il toponimo sangallese e lo psichiatra zurighese inventore del noto test psicologico proiettivo scandito in dieci tavole e ispirato dalla kleksografia – disegni ottenuti da macchie d’inchiostro piegate e dispiegate creando una simmetria – ormai è radicata. Come pure la convinzione che Hermann Rorschach (1884-1922), in una fotoritratto, assomigli come una goccia d’acqua a Brad Pitt.
Il legno di questa incantevole capanna balneare inaugurata nell’estate del 1924, spennellato di scuro, ricorda gli chalet imbruniti dai secoli intravisti dal treno una volta scendendo nella valle di Goms. Ma c’è anche una certa assonanza con le capanne degli orti condivisi che non mi perdo mai di mangiare con gli occhi, da una vita, ogni volta che passo via in treno. Mentre prima, camminando sul lungolago, per un attimo ha richiamato il ponte coperto di Lucerna. Oltre alle assi di legno, la stessa sospensione e il tetto a scandole di cotto. Qui il tetto a capanna è molto spiovente, due finestrelle incorniciate di bianco occhieggiano da un abbaino. Una vecchia esce dall’acqua con l’aria di chi compie quest’azione tutti i giorni alla stessa ora. Sulla lavagna spicca un cocktail di nome Rosalyn. Béatrice – la cameriera che in realtà è al contempo la gerente da tre stagioni di questo luogo fuori dal tempo considerato qui a Rorschach un po’ un’istituzione – mi porta il tè freddo e il pane integrale. Ho ordinato una zuppa di carote, curcuma, e non ho capito bene ancora di cosa. Tra le assi s’intravede il colore dell’acqua. Nel tè freddo fatto in casa naviga uno spicchio di limone e un ciuffo di menta. Di menta qui ce n’è per i beati: otto vasi di menta rigogliosa vivono silenziosamente sopra due panchine sistemate ad angolo retto.
Davanti alla fila di menta a sinistra dell’entrata, lungo le prime cabine, è seduta la vecchia nuotatrice ammantata con un asciugamano e le gambe distese su un altra sedia. Beve un caffè e fuma muratti. Altri pensionati con giacche a vento ad altri tavoli mangiano insalate e camembert. Un papà divora il suo hotdog annaffiato da una birra con il figlio incompreso e introverso in crisi adolescenziale. Ottima la zuppa, cosparsa di erba cipollina. Torta di albicocche con panna accompagnata da un caffè tazza grande da detective americano, poi via. Nella cabina numero quindici a spogliarsi e mettersi il costume da bagno con su non so quante ninfee. La cabina, spaziosa, mostra tutta la bellezza del legno antico al naturale. Graziosi il cardine e la cerniera in ferro battuto a forma di rapa, non male la presenza di una finestrella con vista. Passeggio così un po’, a piedi nudi, sulle assi di questo stabilimento balneare lacustre disegnato dall’architetto Karl Köpplin e regno di Anni Görtz per trentaquattro anni: hotdog e birchermüesli le sue specialità. I tuffi verticali all’indietro sono invece stati la specialità di Lotti Garbe. Un nome da attrice e una vita divisa tra gli uffici amministrativi della Roco – fabbrica di conserve nota per i ravioli in scatola – e la capanna balneare. Dove fino all’età di ottantasei anni la si poteva vedere tuffarsi elegantemente in acqua con una capriola. A rana nuoto nel lago di Costanza conosciuto anche molto come Bodensee o meno come lago Bodanico che bagna, si sa, ma non si sa mai, anche Austria e Germania.
Il mio intento è salire sulla zattera presidiata dai gabbiani accovacciati, ma volando via svelano la loro mappatura di escrementi. Lasciando perdere possibili macchie di Rorschach ulteriori in natura, continuo a nuotare. Il cocktail della casa è composto da gin, succo di pompelmo, acqua tonica, wondersirup. «Sciroppo di rosa» mi dice Béatrice rivelando il quarto elemento del Rosalyn da cui trae il nome. Mi accontento di un Rakete: il ghiacciolo a forma di razzo spaziale nato proprio qui a Rorschach l’estate del 1969, in onore dell’allunaggio del venti luglio. Ai gusti di arancia e ananas, ricoperto sulla punta di cioccolato, è infatti della Frisco, costola della Roco, acronimo tra l’altro, credo, di Rorschach e conserve. Addento dunque il Rakete che in questi giorni compie mezzo secolo, al quale però ho quasi sempre preferito il Winnetou, e sprofondo in una sedia a sdraio. Il panorama lacustre della costa tedesca è solo una striscia indistinta di azzurro narcotizzante. Mentre è ormai solo un ricordo il Napoli, ghiacciolo tricolore risalente al 1974 ed estinto nel 1990. Ma il vero indimenticato, in questo pomeriggio di metà luglio, rimane il pernicioso e impareggiabile Vampir.