Mi sono riproposto di stare alla larga dalle angosce della nuova infodemia. Faccio allora un rewind sino all’ultima serata del festival di Sanremo e arrivo all’interrogativo del titolo: la canzone esiste ancora? È una domanda che da un po’ di tempo mi si ripresenta sovente, sospinta da una curiosa e banale osservazione mattiniera. Mentre preparo colazione e mi accorgo che musica (ricordate l’ultima volta che avete sentito un brano non cantato alla radio? Allora avete buona memoria) o canzoni hanno posto fine ai sempre più stucchevoli chiacchiericci da… «pallinsesto», con gli occhi corro alla segnalazione digitale che sul display, assieme a nome del cantante e titolo, annuncia anche l’anno dell’uscita del brano musicale proposto. È proprio a quel ripetuto messaggio digitale che risale la mia scoperta di quanto i brani del passato siano sempre più incontrastati in ascolti e preferenze musicali.
A dirla tutta credo che, a chi è un po’ in là con gli anni, questa tendenza faccia piacere. Ma non credo che il motivo della rievocazione perpetua possa essere legato solo a date e generazioni. Il trend non cambia e le scalette musicali continuano a proporre brani sempre più datati. Addirittura era riscontrabile anche pochi giorni dopo il magma di nuove canzoni al festival di Sanremo e continua a essere costantemente presente anche in trasmissioni chiaramente rivolte a un pubblico assai più giovane. Allora perché ad avere successo sono autori, cantanti e brani musicali che risalgono agli anni 70, 80 e 90 del secolo scorso? E ancora: non è che questo fenomeno, che dura ormai da anni, sta anche impedendo a nuovi artisti (cantautori, cantanti o gruppi) di emergere e soprattutto di guadagnare visibilità e affermarsi negli ascolti, in modo da conquistare il pubblico?
Alla ricerca di risposte e spiegazioni nelle scorse settimane ho ricevuto una serie di aiuti insperati: alcuni illustri esperti del settore della musica leggera sono approdati anch’essi più o meno alle stesse domande. Ovviamente hanno saputo analizzare il fenomeno con maggior perizia e con argomentazioni assai più confacenti rispetto alle mie (necessariamente limitate, anche perché in pratica riferite solo ad ascolti radiofonici). Lo spazio mi obbliga a limitarmi a un articolo apparso sulla rivista statunitense «Atlantic» e dedicato in prevalenza a quanto commercializzazione e mercato stiano dettando. Ma qualche input mi è giunto anche da un articolo che sul mensile del «Foglio» – «Review» – di febbraio si è soffermato principalmente sulla qualità mutata e sull’impatto causato dai mutamenti dei testi degli artisti (oggi i brani musicali sono infinitamente più tristi di una volta). Al contrario l’analisi che giunge dalla rivista americana tocca tutto il caravanserraglio che gravita attorno a produzione e consumo musicale confermando che anche negli Usa le nuove canzoni raggiungono solo un 5 – 10 % del consumo totale di musica leggera. Lo si è stabilito controllando non solo gli ascolti radiofonici, ma anche e soprattutto il traffico digitale di Spotify e iTunes, le piattaforme da cui i giovani di tutto il mondo scaricano i brani. I dati assicurano anche che non si tratta di un fenomeno collegato solo ai gusti generazionali e includono, grazie anche agli immancabili algoritmi, anche l’influenza delle scelte industriali.
Ted Gioia, che scrive regolarmente di musica per il magazine americano, dopo aver interrogato esperti che «vedono» le canzoni come prodotto industriale prima ancora che come espressione artistica, sintetizza così la situazione: «Il problema non è la carenza di nuova musica di qualità, è che l’industria musicale non è più progettata per scoprirla e alimentarla». E poi precisa che «Mai prima d’ora nella storia i nuovi brani hanno raggiunto lo status di hit generando così poco impatto culturale». In altre parole siamo al cane che si mangia la coda: i successi del passato hanno una marcia in più (qualità, valori, sentimenti ecc.) e l’industria musicale non investe più in nuove produzioni condannandole a sparire subito dalle classifiche di ascolti e dai download dal web. Insomma – e ritroviamo Sanremo – situazione da… brividi!