La camera cinese di Cressier

/ 30.09.2019
di Oliver Scharpf

Il tiglio domina la scena, elevandosi maestoso e disinteressato al di sopra delle mura che cingono il giardino della casa Jeanneret a Cressier. Villaggio viticolo a nove minuti di treno da Neuchâtel confondibile con Crissier, comune vicino a Losanna noto per un ristorante reso famoso a metà degli anni settanta da Frédy Girardet. La tartaruga, per via di tutto questo trambusto inconsueto una domenica mattina di settembre, si è nascosta da qualche parte in fondo al giardino. Con la porta aperta del giardino concluso che dà sulla strada, i coniugi Martine Jeanneret e Lova Golovtchiner hanno paura che scappi e si smarrisca come succede spesso a tante tartarughe domestiche.

Eccezionalmente il luogo del giorno è una casa privata, la cui gloria maggiore è il suo salon chinois: una rarità assoluta in Svizzera. Moda scoppiata nelle corti europee verso la metà del Settecento, la cineseria sembra non aver attecchito troppo in terra elvetica. L’unico posto, a sorpresa, è questa antica casa vinicola a ridosso del Giura neocastellano che prende il nome dal pittore Gustave Jeanneret (1847-1927), visitabile oggi in occasione delle Giornate europee del patrimonio. «La più strana moda esotica che sia mai passata attraverso l’Europa» – come ho trovato scritto nel piacevolissimo libro intitolato L’arte della cineseria (1961) di Hugh Honour – ha lasciato così una considerevole traccia al primo piano di questa casa all’angolo di rue Gustave Jeanneret e rue Laurent Péroud.

Dove alle dieci in punto si è già formata una bella coda. «Il y a tout Cressier» dice uno accanto a me alla moglie. L’ultima volta che si poteva visitare la camera cinese è stata infatti molti anni fa. «Nessuno è andato a messa stamattina» dice ancora il signore su di giri guardandosi intorno. «Gridalo ancora più forte» ribatte la moglie al marito spiritosone. Si entra in gruppi di venti. Un primo gruppo è già dentro, il secondo entra ora, entro di sicuro con il prossimo visto che sono nelle prime posizioni. Dal portone aperto, intanto, il tiglio ultracentenario cattura di nuovo tutta la mia attenzione.

Emana una calma magistrale. Utile per la tiritera imparata a memoria della giovane guida comunque volonterosa. Scene di vendemmia con gesti antichi perduti, sono dipinte sulle mura al pianterreno. È la sala da pranzo, rivestita di legno tipo tinello, dipinta tutta da Gustave Jeanneret che con sua moglie Emma acquista questa casa nel 1888. Un tempo qui c’era il torchio per l’uva. Uva bianca viene rovesciata in un tino da due uomini che si piegano con la loro gerla, sullo sfondo il lago di Bienne. Distante solo tre chilometri da qui. Nonostante l’alta qualità di questi dipinti, la curiosità per la camera cinese cresce.

Salgo la scala a chiocciola scricchiolante e al primo piano, dopo non molti passi, entriamo in un altro mondo. La camera cinese di Cressier (436 m), a un primo sguardo d’insieme, sembra fatta con le parti esterne, ingigantite e rimontate all’inverso, di una teiera di porcellana bianca  ornamentata in blu. Avvicinandosi poi alle pareti di legno spennellato in color avorio, tra lambrecchini e arabeschi bluastri, si scopre una gamma di altri colori come oro, rosa, rosso verde, giallo senape, con i quali, sono dipinte minuscole scenette cineseggianti. Qui una pagoda, là una palma. Mentre su una delle due pareti oblique che nascondono due armadi, c’è un albero fantastico dove a cavalcioni di un ramo vedo il primo cinese.

Con un arco in mano, lì accanto vola un drago. Più in alto uno strano insetto svolazza attorno a curiose bacche e fiori inventati. Hugh Honour (1927-2016), uno dei massimi esperti del classicismo nato nel Sussex e morto nella campagna lucchese, nel libro citato prima, mette subito in chiaro che «la cineseria è uno stile europeo, e non un inesperto tentativo di imitare le arti cinesi, secondo l’ipotesi avanzata da qualche sinologo». Neanche a dirlo, la sinologa presente, oltre a interrompere le fantasticherie di ognuno, proprio adesso dice appunto qualcosa sull’imitazione ingenua della Cina.

Conferma almeno la pista più probabile per il committente, verso il 1730, di questa meravigliosa stanza : Paul de Froment (1664-1737). Pigro governatore di Neuchâtel per conto della Prussia. Tra ricami, ornamenti, uccelli esoticheggianti, nei medaglioni al centro delle pareti suddivise in otto riquadri, sfilano otto personaggi cinesi. Tra i quali un fumatore di pipa e uno che fa un kowtow, l’inchino reverenziale classico da mal di schiena. L’ultimo cinese stupisce: è un vendemmiatore.

Strizzata d’occhio di uno degli ignoti ornamentisti. Il fumatore di pipa e quello che s’inchina sono stati rintracciati, identici, su un piatto in porcellana di Meissen del 1720. Su in alto, sopra le scenette dei cinesi, sfilano dei paesaggi non asiatici che ricordano molto le porcellane bianche e blu di Delft nate a metà Seicento ispirate dallo stile della dinastia Ming sbocciato nel 1368. Sul soffitto sono raffigurati i cinque sensi, sono sotto l’olfatto. Un principe annusa una rosa con per terra una specie di lampada di Aladino. Una scimmia seduta su un ricamo blu, lo scimmiotta stoppandosi il naso. Guardando fuori dalla finestra, la vista è pervasa dalle fronde lungimiranti del tiglio.