La caduta di Costantinopoli

/ 06.06.2017
di Cesare Poppi

Dice la leggenda che una settimana prima della caduta di Costantinopoli il 29 maggio 1453, un’eclisse parziale di luna avesse annunciato la fine. Quattro giorni dopo una fitta nebbia aveva avvolto la città, evento raro e per questo carico di significati oscuri: quando la nebbia si levò, una luce pallida e fredda fu vista levarsi dalla cupola di Santa Sofia e salire al cielo. Fra gli assediati, esausti e demoralizzati dalle notizie giunte dal mare secondo le quali i tanto sperati rinforzi dal resto della cristianità non sarebbero arrivati, cominciò a girare la voce che si trattasse dello Spirito Santo. Lasciava la cattedrale per non essere esposto all’oltraggio degli Ottomani pronti ormai per l’ultimo assalto.

Il confronto si era annunciato impari fin dall’inizio: i difensori potevano contare su una forza totale stimata fra i settemila e i diecimila combattenti. Ai contingenti di soldati professionisti dell’impero andavano ad aggiungersi piccoli, seppur ben equipaggiati contingenti di truppe Veneziane, Genovesi, Catalane, Siciliane e seicento soldati turchi – fedeli anche loro fino all’ultimo all’Imperatore Costantino XI Paleologo. Con le loro ventisei galee, i Bizantini si opponevano alle imbarcazioni ottomane stimate fra le settanta e le centoventi. Fonti storiche contrastanti sostengono che le truppe di terra del Sultano ventunenne Mehmet il Conquistatore variassero fra le 70 e le 200’000 unità.

I Bizantini avevano dalla loro le mura più potenti del mondo e comandanti esperti proprio nella difesa di città assediate. Ma la strategia ottomana contrapponeva settanta cannoni. Fra questi, il micidiale Basilisco, una bombarda dal peso di due tonnellate trainata da un treno di sessanta buoi costruita da un ingegnere ungherese di nome Orban (Urbano) con l’aiuto di maestranze tedesche. Ironia della Storia: Orban aveva offerto di fondere l’ordigno all’Imperatore Costantino quando ormai si delineava lo scontro finale con gli Ottomani, offerta rifiutata per mancanza di fondi in un impero ormai esausto. Ironia della Sorte: se il Basilisco fece la sua parte nell’aprire brecce nelle mura costantinopolitane, l’esplosione per surriscaldamento di uno dei tanti pezzi di artiglieria costruiti da Orban per gli Ottomani ne provocò la morte nel giorno stesso della caduta della città.

Dopo una tregua di due giorni, l’assalto finale era cominciato il 29 maggio poco dopo la mezzanotte. Il primo assalto fu affidato alle truppe cristiane che combattevano per gli Ottomani contro i bizantini. Seguì poi un assalto di truppe irregolari ed anatoliche nella zona nord-ovest della città detta Blacherne: qui le mura erano più antiche e dunque più esposte al danno dell’artiglieria ottomana. I difensori riuscirono a contenere questa prima breccia, ma non la seconda che vide protagonista l’elite ottomana dei Giannizzeri, soldati reclutati in età adolescenziale dai villaggi balcanici cristiani che formavano una sorta di guardia pretoriana del Sultano. Il comandante genovese delle truppe di terra, l’indomito Giovanni Giustiniani, rimase gravemente ferito ed ordinò il ripiegamento verso la zona portuale. Seguì il breve, efficace contrattacco da parte dei soldati greci guidati dall’imperatore in persona. Ma presto i Giannizzeri premevano da ogni lato e quando le bandiere ottomane furono viste garrire al vento su una delle porte minori della città il panico divenne generale e la difesa impossibile.

Il sacco di Costantinopoli durò tre giorni. Il chirurgo veneziano Nicolò Barbaro narra di migliaia di abitanti passati per le armi, di torture e stupri – fino alla vendita in schiavitù o alla condanna all’esilio di trentamila persone: «Il sangue correva nelle strade come acque delle grondaie durante un grande temporale, e i corpi di turchi e cristiani galleggiano nel Bosforo come meloni nell’acqua». D’altro canto, si narra come il Sultano Mehmet scoppiasse in lacrime alla vista delle rovine in fiamme di quella che era stata per secoli una meraviglia del mondo: «Quale grande città abbiamo permesso fosse preda di saccheggio e devastazione!».

L’Imperatore Costantino XI, che aveva rifiutato un’offerta iniziale di resa agli Ottomani, morì guidando l’estremo, disperato contrattacco dei suoi soldati. Fonti successive sostengono che si fosse spogliato delle vesti imperiali per non diventare il primo bersaglio del nemico. Così, il suo cadavere non fu mai ritrovato. La leggenda che fu narrata all’Altropologo da un vecchio, irriducibile monaco del monastero di Xiropotamu vuole, tuttavia, che nel momento in cui gli Ottomani entravano in città, due angeli avessero trasformato l’imperatore in una statua di marmo. Nascosto in una caverna sotto la Porta d’Oro, Costantino attende il ritorno della città in mani cristiane per risorgere. «So bene che voi Latini a queste cose non credete. Ma nemmeno credevate che Costantinopoli potesse mai cadere. Siete stati smentiti allora, e sarete sbugiardati domani». Sic transit.