La bicicletta per un nuovo umanesimo

/ 03.04.2017
di Natascha Fioretti

Non so se lo avete notato anche voi ma dal 2 marzo in Svizzera circolano due francobolli da 1 franco in bianco e nero raffiguranti uno la draisina, l’altro la bicicletta moderna. Un omaggio che la posta elvetica ha voluto rendere alla bicicletta e al suo inventore Karl Friedrich Christian Ludwig Freiherr Drais von Sauerbronn in occasione del bicentenario dalla sua invenzione. Il 12 giugno 1817 Karl Drais in sella al suo prototipo a due ruote attraversò la città di Mannheim a una velocità circa tre volte superiore al normale passo.

E da allora grazie a questo velocipede in legno con due ruote in linea e senza pedali nulla fu più lo stesso. La copertura di distanze, l’esperienza del tempo, le opportunità di incontro, movimento e scambio si rivoluzionarono dando modo a tutti, indipendentemente dalla classe sociale, di beneficiare di questa geniale invenzione.

Erano altri tempi in cui si invocava un’accelerazione mentre oggi si valorizzano forme di lentezza. Oggi in cerca di forme di locomozione più sostenibili, con un minore impatto ambientale e una filosofia di vita slow più in armonia con i ritmi e l’essenza della natura, molte città europee negli ultimi anni hanno puntato sul traffico su due ruote implementando le piste e i percorsi ciclabili. In cima alla classifica ci sono Copenhagen e Amsterdam seguite da Londra, Barcellona e Berlino. La Svizzera conosciuta per essere uno dei paesi più bike friendly d’Europa tra le città più dinamiche su due ruote annovera Berna e Ginevra.

Ma torniamo per un attimo al 1817 per scoprire che allora l’invenzione della bicicletta nacque in risposta alle sfide climatiche che l’Europa e il resto del mondo si trovarono ad affrontare. A causa dell’eruzione del vulcano indonesiano Tambora – registrata come una delle più potenti della storia – il pianeta nel 1816 conobbe un anno senza estate che andò ad inserirsi in un’epoca di estati mancate e di inverni rigidissimi. In Europa triplicarono i prezzi del grano, del riso e dell’avena mettendo a rischio la vita dei cavalli. Fu in queste circostanze che Drais immaginò un mezzo di trasporto che potesse sostituire le tradizionali carrozze.

Oggi, il vulcano Tambora sembra tranquillo, in compenso il presidente di una delle più potenti nazioni al mondo dichiara guerra all’ambiente mentre il Canada si appresta ad inaugurare quest’anno il percorso ciclabile più lungo al mondo (thegreattrail.ca): oltre 12’000 km attraverso tredici province del paese secondo il motto: «Non importa quali siano la tua età, il tuo credo, le tue passioni, c’è un link che ci connette tutti». Slogan a parte, l’apporto positivo che in termini di qualità della vita, impatto sociale, ambientale ed economico la ciclabilità urbana è in grado di apportare è dimostrato da diverse ricerche internazionali. 

Quando per un anno ho vissuto in città a Lugano ricordo con quale felicità la mattina scendevo in bici da Loreto verso il lago e con quali occhi riuscivo a vedere cose e sentire profumi che in auto ti sono preclusi (certo non devi viaggiare con le cuffie in testa o distrarti con il cellulare!). E poi sentire il corpo sempre in movimento, pensare quale percorso fare per raggiungere un punto, vivi lo spazio e il tempo in modo completamente diverso, più umano innanzitutto. E non si può non pensare al filosofo e antropologo Marc Augé e al suo elogio alla bicicletta «la prima pedalata è l’inizio di una nuova e propria autonomia, è un bel tentativo di fuga, la percezione della libertà, il movimento delle punte delle dita dei piedi quando il mezzo reagisce agli impulsi e alle richieste del corpo e contemporaneamente lo anticipa.

Nel giro di pochi secondi l’orizzonte si espande e il paesaggio stesso inizia a muoversi. Io sono altrove. Sono un altro, eppure contemporaneamente sono così tanto me stesso come mai prima, sono ciò che scopro». La bici ci rimette al centro di reti, spazi, tessuti e significati e apre ad un nuovo umanesimo di cui possiamo farci promotori pedalando e scegliendo un preciso stile di vita.