L’esistenza di un edificio pubblico tutto rivestito di pietre di fiume è saltata fuori per caso. Un pomeriggio di pioggia, ordinando per tema, ritagli di giornale rimasti in giro e ritagliandone di nuovi da vecchie pagine di giornale tenute da parte. Come la pagina del «Corriere della Sera» di quindici anni fa, piegata in sei, dove ho riletto e ritagliato un articolo a proposito di un primatologo olandese che studia le scimmie prendere il tè. Stavo per appallottolare lo scarto del ritaglio e gettarlo a palombella nel camino, quando mi è caduto l’occhio sulle pietre di fiume nel titolo di un trafiletto sfuggito, nella pagina dietro, dedicato a Luigi Caccia Dominioni (1913-2016). Noto architetto milanese che ha passato tutte le vacanze d’infanzia e tutti gli anni della prima guerra mondiale a Morbegno.
Paesone all’inizio della Valtellina dove, dopo un paio di corriere dal Ceresio al Lario, sto arrivando in treno. Tragitto breve ma storico visto che su questa tratta è un po’ nato, pare, il treno elettrico. Grazie all’invenzione nel 1902 della linea elettrica trifase ad alta tensione dell’ingegnere ungherese Kálmán Kandó, in memoria del quale, al binario uno della stazione di Colico, c’è una targa in marmo a lettere dorate. La notizia straordinaria però per me rimane l’utilizzo delle pietre del Bitto per rivestire un’intera biblioteca costruita proprio lì, sulla sua sponda sinistra. Alla quale approdo superando il ponte con la statua di San Giovanni Nepomuceno, opera settecentesca niente male dello scultore ticinese Giovanni Battista Adami che raffigura il santo tipico dei ponti: gettato vivo nella Moldava dal ponte Carlo di Praga.
La biblioteca ideata da Luigi Caccia Dominioni e dedicata a Ezio Vanoni – economista e ministro nato qui nel 1903 e morto a Roma per uno scompenso cardiaco a cinquantadue anni – vede la luce nel 1966. Eccola là, nascosta un po’ dagli alberi e contenuta nella curva del torrente che si chiama come l’antico formaggio per i pizzoccheri o la polenta taragna. Due muretti introduttivi ricalcano quella piega a nordovest che porta il torrente, tra non molto, a gettarsi nell’Adda. Curvilineo è così il camminare tra queste mura torrentizie che accarezzo subito, senza tante storie. L’ispirazione di prelevare i sassi levigati dal letto del Bitto è tratta da antichissimi muretti della regione. «Ricordo che feci fare una fotografia di un paio di muri di Delebio e di Regoledo, così che i muratori costruissero il muro più vicino possibile a come erano quelli di allora» rivela lo stesso architetto in un’intervista trovata tra le pagine di Luigi Caccia Dominioni, architettura in Valtellina e nei Grigioni (2010).
Sviluppandosi a spirale, con due corpi cilindrici di diversa altezza, l’edificio lo abbraccio ora con lo sguardo, dominando a stento un ricordo che riaffiora riguardo la stessa forma di un portapenne di plastica che avevo da bambino. Dalle finestre, a feritoia, esce una luce che incide questa mattina dopo le dieci e mezza circa di una fredda giornata brumosa verso fine novembre. Dentro è subito un po’ una delusione. Nella sala di lettura c’è qualcosa che non va. Sparite di sicuro le sedie disegnate da Caccia Dominioni, anche designer rinomato con più di un Compasso d’oro nel palmarès. Al loro posto delle odiose poltroncine viola vomitevoli che perdipiù fanno a pugni con i pertinenti tavoli in legno ondivaghi. Originari credo, ma diligentemente mi sono portato nello zaino il libro citato prima curato da Alberto Gavazzi e Marco Ghilotti e lo consulto, sedendomi a uno di questi tre tavolini reduci, perché ricordo una bella foto dell’ariosa sala di lettura. Infatti, c’erano. Si sposavano bene con le eleganti sedie svanite. E nient’altro in giro. Durante il «riassetto degli spazi della biblioteca» come li hanno chiamati in una targhetta di plastica trasparente all’entrata, l’arredamento d’interni sarà stato appaltato a una ditta che ne ha fatto uno scempio.
Non posso credere che i due architetti dell’ampliamento discreto del 2014 siano gli stessi autori di questo inquinamento dello spazio. Prima non c’erano tutti questi mobili di metallo grigio topo che opprimono l’ambiente. La vista conquistata del Monte Disgrazia, attraverso l’unica ampia vetrata, è ammorbata da disgraziati autocollanti a forma di libri aperti che si spacciano banalmente per farfalle in volo, come annoto ora in matita tra le mie immediate impressioni della biblioteca Vanoni di Morbegno (262 m). Bella fuori non altrettanto dentro: non certo per colpa di Caccia Dominioni la cui vertiginosa tromba delle scale, nella Torre del Sapere, è un capolavoro assoluto a guardarla con il naso all’insù. «Ma vaffambagno» sbotta una bibliotecaria rivolta al suo computer. Esco sul davanti, in terrazza, per immergermi di nuovo nell’insuperabile superficie verticale e cilindrica dei ciottoli portati a valle dal Bitto che scorre impetuoso quissotto. Il greto di un torrente riportato pazientemente sulla facciata arrotondata di una biblioteca che sembra una fortezza, continua a essere, straordinaria notizia.