La bandiera che cadde dal cielo

/ 15.06.2020
di Cesare Poppi

«Siamo profondamente turbati e profondamente preoccupati quando udiamo che i selvaggi Estoni ed altri pagani di quelle regioni ostacolano e combattono i fedeli di Dio, combattono la virtù del nome cristiano… (vi esortiamo pertanto) a cingervi delle armi celesti e della forza dell’Apostolica esortazione per difendere la verità della fede cristiana ed espanderla con la forza». Così Papa Alessandro III nella bolla Non parum animus noster («Il nostro animo non è tranquillo») del 1171 o 1172. Seguiva una meticolosa e generosa lista di indulgenze ed altre franchigie spirituali: coloro che avessero partecipato alla disfatta dei pagani e fossero caduti nell’intento avrebbero goduto della remissione dei peccati allo stesso modo di coloro che si fossero recati in pellegrinaggio al Santo Sepolcro.

Il XII secolo segnò un punto di svolta nelle politiche ecclesiastiche di conversione delle ultime sacche pagane d’Europa e – più in generale – di quanto fosse rimasto dell’eredità precristiana nelle credenze e nelle pratiche delle classi subalterne e periferiche ad un cristianesimo diffuso soprattutto nelle città e fra le classi urbane: «pagano» era colui che viveva nel pagus, sinonimo di arretratezza ed oscurantismo. Prendiamo il caso classico delle credenze nella stregoneria. Per dodici buoni secoli la Chiesa aveva perseguito le credenze nell’esistenza delle streghe e dei loro poteri con mano leggera. Considerate superstizioni pagane e relitti di una fase delle pratiche religiose nelle quali prevalevano ignoranza e credulità venivano punite in confessionale con penitenze leggere e ridicolizzate nei Penitenziali vescovili. Quel tipo di atteggiamento sostanzialmente «razionalista» cominciò a cambiare con la constatazione che, in dodici secoli di tentativi, pratiche e credenze «pagane» erano ancora profondamente radicate fra il popolo. Sotto pressione da parte delle autorità civili, specie in area tedesca, preoccupate dal montare di accuse di stregoneria che portavano disturbo alle quiete civica, le autorità ecclesiastiche cominciarono a cedere. Ancora nel 1258 l’intervento papale riuscì ad arginare l’ondata di caccia alle streghe montante limitando l’intervento inquisitoriale ai soli casi nei quali vi fosse un ragionevole sospetto che, dietro alle pratiche stregonesche si nascondessero ben più sostanziali dottrine eretiche, ma i tempi erano maturati per cui ogni opposizione all’ortodossia dominante venisse contrastata non più con l’arma della persuasione ma a fil di condanne al rogo dopo che, altrove, la spada aveva già inaugurato la nuova era.

Raccolto l’invito del Papa al balzo, Re Valdemaro II di Danimarca guidò la prima delle cosiddette Crociate della Livonia fra il 1198 ed il 1212. La Livonia comprendeva grossomodo quelli che ora sono i territori delle Repubbliche Baltiche, genti periferiche dimenticate dalla storia mai fino ad allora convertitesi al cristianesimo globalizzante. L’obiettivo della coalizione che Valdemaro guidava a capo di un’alleanza di principati germanici era di estendere i fino ad allora limitati confini del regno col sostegno delle potenti classi mercantili tedesche interessate ad aprirsi un corridoio commerciale verso la Finlandia e – soprattutto – verso la sconfinata Russia. Gli Estoni che si opponevano a Valdemaro non erano militarmente all’altezza di opporsi alla cavalleria Danese ed all’Ordine Monastico-Militare dei Cavalieri Teutonici. Da tempi immemorabili gli underdogs d’Europa, primitivi eredi delle popolazioni indigene d’Europa prima dell’arrivo degli aggressivi Indoeuropei che avevano colpito Plinio, lo storico romano, per aver come unico animale domestico il cane – che mangiavano – gli Estoni sapevano di essere arrivati alla fine. Cosa mai potevano contro un esercito venuto via mare a bordo di millecinquecento navi? Tentarono fino alla fine di guadagnare tempo fingendo di negoziare. Poi, rassegnati, decisero che la miglior difesa sarebbe stato l’attacco di sorpresa: forse gli dei avrebbero aiutato.

È la sera del 15 giugno 1219. Il lungo crepuscolo nordico che precede il solstizio estivo rilassa i crociati attorno ai fuochi all’interno del castrum costruito a difesa contro un peraltro improbabile attacco degli Estoni. Si canta, si balla, si beve. D’un tratto è il caos: il nemico scavalca le staccionate da cinque diverse direzioni. Si cercano le armi, si inciampa nei fuochi, ci si calpesta nel tentativo di mettersi in salvo… i cavalli strappano le pastoie… terrore, confusione… L’unico a mantenere il controllo è l’Arcivescovo di Lund, Anders Sunesen: alza le mani al cielo e comincia a pregare. Come un vessillo, le sue mani alzate fungono da catalizzatore della resistenza e chi può accorre a tenergliele alzate. Ma presto il vecchio vescovo è esausto: alla vista della carneficina che lo circonda gli cadono sì le braccia, ma non crolla la fede.

Fu allora – così si racconta – che una bandiera rossa con croce bianca ad inquartarla cadde dal cielo. Subito issata dai crociati rovesciò le sorti della battaglia. Era la Dannebrog, il vessillo che ancor oggi denota la nazione Danese. I Danesi chiamano il luogo della vittoriosa battaglia fatale Lyndanisse. Gli Estoni, che la spiavano meravigliati dai boschi alla vigilia del massacro, la chiamavano Taani-linn, «la città dei Danesi». Oggi Tallinn, capitale dell’Estonia.