La bambina e sua madre

/ 30.11.2020
di Bruno Gambarotta

Di tutte le possibili combinazioni di coppie a passeggio per le vie di Torino, la più frequente nel tardo pomeriggio è quella composta da madre e figlia che vanno in giro per vetrine e negozi. Più sono avanti negli anni e più si assomigliano, anche se la figlia è una spanna più alta della madre. La figlia parla, la madre tace ma si capisce benissimo che non ascolta. La madre indossa un soprabito color topo morto e in testa ha una ciotola rovesciata dello stesso colore. È appesa al braccio della figlia che fa il passo e indossa gonne scozzesi, maglie sformate sovrapposte una sull’altra, stivali. E parla.

Racconta storie del suo ambiente di lavoro, invidie, dispetti, la collega che ha avuto una promozione perché è l’amante del capo ufficio. Sua moglie lo sa ma preferisce far finta di niente per amore dei figli. Quest’ultima notizia è una stilettata perché in casa è successa la stessa cosa, il suo caro papà non aveva solo l’amante ma erano proprio due famiglie. A Natale e a Capodanno cenava due volte, prima dalla socia e poi a casa sua. Si capiva che aveva già mangiato nell’altra famiglia perché si limitava a spilluzzicare dai piatti uno più succulento dell’altro che la moglie ordinava nella gastronomia di lusso. E poi andavano avanti per settimane a mangiare gli avanzi perché «a casa nostra non si butta mai via niente».

La madre è il ritratto della santa sopportazione, la figlia sul viso ha le pieghe della tensione e dello scontento. Anche in casa la madre parla poco, si limita a dire alla figlia, quando lei annuncia la sua intenzione di uscire dopo cena: «Vai pure, divertiti e torna quando ti pare. Tanto io non mi addormento finché non sei tornata». Alle sue amiche la madre confida che è contenta quando la figlia va a trascorrere il week-end in montagna con qualche amica: «Lavora tutta la settimana, è ancora giovane, è giusto che si goda la vita, anche se io alla sua età avevo già un marito e una figlia da accudire».

Non è colpa di nessuno se poi il sabato pomeriggio la madre incomincia a stare male, ha 39 di febbre e la figlia deve tornare di corsa, rimettendoci i soldi dell’albergo e dello ski pass. Ammalarsi quando una persona cara si allontana è una prova d’affetto. Così come è una prova d’affetto informarsi dalla figlia come mai ha tardato tanto a tornare a casa dopo la chiusura dell’ufficio, chi ha visto, con chi è stata. In certe cose la figlia è rimasta una bambina e meno male che c’è la mamma pronta a darle consigli «per il suo bene».

Vanno in giro per saldi e la figlia si entusiasma per ogni tipo di vestiario che prova rimirandosi allo specchio: «Non trovi anche tu che mi stia bene?» La madre l’incoraggia: «È vero, sembra tagliato su misura per te. E poi è anche conveniente. Peccato solo che ti invecchia». Ora si può perdonare tutto a un capo di vestiario, ma non che invecchi chi lo indossa. La figlia è irrequieta, si sente in gabbia, vorrebbe uscirne ma non sa come fare, in compenso compie delle mattane. Un bel giorno torna a casa con una sorpresa terrificante: ha cambiato pettinatura e colore dei capelli. Quella chioma fluente biondo cenere che scendeva fino alla vita ed era l’invidia delle amiche di mamma è sparita e al posto suo c’è uno stentato mazzo di ravanelli, una sorta di Moccio Vileda con riflessi bluastri. La mamma non parla ma la faccia è un riassunto delle puntate precedenti di una serie Netflix di telefilm a episodi sull’ingratitudine dei figli.

Un altro giorno la figlia si fa plagiare da una collega e inizia una cura dimagrante, spietata e punitiva ma che fa miracoli. La mamma non può assistere impotente a quell’autodistruzione. Preparerà la sua famosa panna cotta, ne farà al caffè, al Grand Marnier, al cacao, alla fragola, ai mirtilli, tante invitanti piccole ciotole da 10mila calorie l’una sparse su tutti i ripiani del frigo. Voglio vedere se la figlia, quando sarà rientrata a mezzanotte dopo aver visto con le amiche il film coreano in lingua originale e aprirà il frigo per bere quello schifoso intruglio dimagrante, saprà resistere alla tentazione!

Se almeno fosse capace di trovarsi un fidanzato! O se, quando lo trova, sapesse tenerselo! Povera figlia, per lei, quando si innamora, vanno bene tutti. Fortuna che c’è la mamma che, quando la figlia invita per la prima volta a cena l’aspirante fidanzato, scopre i suoi difetti e glieli fa notare. Se ti piace prendilo, anche se ha l’alito cattivo, i denti storti, i piedi piatti, la risata sgangherata, i peli nelle orecchie, la forfora, sbaglia i congiuntivi, indossa i calzini, ha i polsini della camicia lisi e il cerume nelle orecchie, ma che almeno tu conosca pregi e difetti dell’articolo che ti metti in casa, prima che sia troppo tardi per fare il cambio merce.

Non è colpa della madre se, dopo queste disinteressate osservazioni, l’aspirante fidanzato scompare dai radar. Non c’è niente da fare: «Mia figlia può aver superato i quarant’anni, dirigere un ufficio o una scuola, ma in certe cose è rimasta proprio una bambina ingenua».