A volte non si riesce a credere a ciò che si legge. Per esempio: uno dei temi politici di maggior successo nel Vecchio continente è il cosiddetto «negazionismo climatico». Come spiega nel suo articolo di oggi Marzio Rigonalli, alcuni movimenti di area conservatrice e/o nazionalista, «negano il riscaldamento globale, si oppongono alle misure che vengono prese per contrastarlo e vorrebbero uscire dall’Accordo di Parigi», un trattato internazionale che chiede di mantenere entro la fine del secolo al di sotto dei 2 gradi centigradi la crescita della temperatura media globale sulla superficie delle terre emerse e degli oceani.
Non ci si crede, perché sembra impossibile che dei partiti di prima grandezza (tra cui lo spagnolo Vox e il tedesco Alternative für Deutschland) senz’altro guidati da persone più che mediamente istruite, sposino teorie antiscientifiche che li associano più o meno direttamente ad astruse teorie del complotto. O a tentare, invano, di conciliare la scienza con credenze e scelte che la contraddicono. In questi casi bisognerebbe parlare di dissonanza cognitiva. Il paradosso è che dal punto di vista dei negazionisti climatici, complottisti sono, al contrario, quanti osano ipotizzare che dietro alle loro posizioni si nascondano gli interessi di una certa lobby energetica, in particolare quella del petrolio. E contrattaccano. Il 27 maggio scorso, un articolo di Laura Paddison sul sito della CNN spiegava che meteorologi e comunicatori climatici sono inondati da messaggi minatori e false accuse secondo le quali mentono sulla meteo o la controllano, esagerando i valori termici. Ma con quali oscuri interessi, ci chiediamo?
Non ci si crede, soprattutto, perché i cittadini elettori hanno la possibilità di verificare sulla propria pelle l’assoluta concretezza dell’idea astratta di «surriscaldamento del clima».
Mettiamo pure che non leggano o che leggano ma non credano alle notizie che quasi ogni giorno ci dicono, per esempio, che il mese di luglio 2023 è stato di 1.0 °C più caldo rispetto alla norma registrata tra il 1991 e il 2020 (fonte: MeteoSvizzera). O che l’anno scorso la canicola ha provocato 59 decessi in Ticino e 474 in Svizzera (fonte: Ufficio federale dell’ambiente). Per non parlare degli impressionanti scompensi nel resto del pianeta (vedi l’articolo di Cristina Marconi). Certo, le statistiche vanno interpretate e restano freddi numeri sideralmente distanti dalla vita reale.
Mettiamo poi che i negazionisti climatici e i loro abbondanti elettori non siano operai addetti alla stesura dell’asfalto nei cantieri stradali o non abbiano nulla a che fare con l’agricoltura, due fra i numerosi ambiti nei quali gli sbalzi di temperatura hanno effetti immediatamente misurabili. Ma possibile che non si accorgano che ogni estate è peggiore della precedente? Che negli ultimi mesi gli eventi meteorologici sono stati quasi solo estremi: calura asfissiante, fiumi prosciugati, ghiacciai in estinzione da una parte e tuoni, fulmini, tempeste con chicchi grossi come pugni e relative inondazioni dall’altra?
Forse godono di una straordinaria resistenza fisico-genetica al calore, sono foderati d’amianto, o vivono in una bolla d’aria condizionata e non si accorgono del Sahara che avanza fuori dalle finestre. Anche se non ne condividiamo le idee, accettiamo di confrontarci con le ragioni di chi non è convinto che il cambiamento climatico sia causato soprattutto dalle attività inquinanti dell’uomo. Ma coi negazionisti assoluti c’è poco da discutere: arrivare a negare la realtà stessa del surriscaldamento è come mettere la mano in una pentola d’acqua bollente e dire che è giusto un po’ tiepidina.