l futuro visto dal passato

/ 21.08.2023
di Alessandro Zanoli

Ci è capitato, in una di queste serate estive televisive dedicate al déjà vu, di scoprire un film che ci eravamo persi e che pure all’epoca aveva suscitato un certo interesse: Broken Flowers di Jim Jarmusch. Ne parliamo qui perché ci ha suscitato una riflessione particolare in ambito di storia della tecnologia. Il film, che era uscito nel 2005, ci presenta un uomo d’affari depresso e annoiato che a un certo punto della sua vita viene a sapere (da una lettera anonima) di aver avuto un figlio da una delle sue numerose partner di gioventù. Senza grande entusiasmo, ma in realtà con la segreta speranza che la notizia possa apportare un significativo cambiamento alla sua vita, il protagonista parte per contattare le sue vecchie «fiamme» e capire con quale di loro l’avesse concepito. La lettera misteriosa, infatti, lo lasciava volutamente all’oscuro sull’identità della madre.

Ora, al di là della trama non proprio originalissima ed entusiasmante, il film pare volerci mostrare come, grazie alle risorse fornite da Internet, sia possibile all’uomo trovare i recapiti delle sue amanti di vent’anni prima, scoprire persino che una di loro è morta, stampare delle cartine geografiche che gli permettono di individuare le abitazioni di quelle viventi e addirittura la tomba della defunta (si può fare: conoscete findagrave.com?). In conseguenza di questo, sempre grazie ad Internet, l’uomo potrà prenotare poi quattro voli aerei per quattro diverse regioni degli USA, e altrettante auto a noleggio che gli permettano di raggiungere gli indirizzi individuati. Insomma, uscito nel 2005, quel film voleva proporre al suo pubblico una chiara riflessione sulla potenza della grande Rete, allora agli albori, e sulla sua grande capacità di influenzare le relazioni umane. Un contrasto sentimental-tecnologico molto ben orchestrato, peraltro.

A uno spettatore odierno, però, il film risulta completamente banale. Nel giro di vent’anni, infatti, ognuna di quelle operazioni, che all’epoca potevano sembrare praticamente fantascientifiche, è diventata la pura normalità quotidiana. Tanto che il povero Bill Murray, alle prese con le cartine geografiche stampate dal sito Map Quest (qualcuno se lo ricorda?) ci appare oggi persino patetico per la sua arretratezza tecnologica. È una sorta di anacronismo a rovescio: noi abituati ad utilizzare il navigatore non percepiamo più nessun elemento di novità e di paradosso in questo contrasto tra sentimenti e tecnologia. Soprattutto perché la tecnologia rappresentata è diventata obsoleta e noi rivedendo la pellicola reagiamo con nostalgia, magari, ma non con stupore. Quel contrasto è la nostra normalità. Questo però Jarmush non lo poteva prevedere.

Lasciando da parte il film, ora veniamo a noi: la nostra riflessione estiva, maturata sotto l’ombrellone, osservando umanità impegnata a strusciare i propri smartphone incurante del potere abrasivo della sabbia, ci fa pensare che molta della tecnologia utilizzata oggi, e che per certi versi ci sembra fantascientifica, sarà perfetta normalità tra vent’anni. Il polverone che si sta muovendo attorno all’avvento di Chat GPT appare in quest’ottica completamente inutile, tanto più che ogni giorno scopriamo o che la sua tecnologia era già in uso da tempo e non ce ne eravamo mai accorti, oppure che il suo uso è economicamente interessante per molti professionisti i quali non si faranno nessun problema nell’implementarla ai loro servizi. E se i giornalisti sono preoccupati per le capacità redazionali dell’IA, si scopre che sono i programmatori quelli che ne possono utilizzare al meglio le doti (Chat GPT scrive ottimo codice già oggi), per non parlare degli avvocati, dei medici, e scendendo nella lista delle categorie d’impiego, gli operatori di Call Center e dei servizi di contatto con i clienti.

Tra vent’anni Chat GPT non ci farà più paura: guiderà la nostra macchina, molto probabilmente e farà la spesa per noi. E allora noi, finalmente, potremo passare il tempo a pensare se gli Ufo esistono davvero.