Lunga notte quella del primo lunedì di ottobre. Già la serata era iniziata storta, con il televisore a confermarsi sempre più elettrodomestico simile al microonde, utile solo per cibi precotti o congelati. Non riuscendo a dormire, ho finito per diventare cane da caccia e mettermi sulle tracce di quella che è poi stata definita «panne globale», cioè il malfunzionamento che da ore stava impedendo a miliardi di utenti del web di usufruire dei servizi che Facebook garantisce a mezzo mondo (compresi gli accessi ai suoi satelliti Instagram e soprattutto WhatsApp). Così sono rimasto in linea con Twitter e i media online alla ricerca di aggiornamenti, teorie e commenti degli esperti informatici (principalmente il nostro Paolo Attivissimo), proprio come scrive Clara Mazzoleni su «Rivista Studio»: «Il lockdown ci aveva totalmente rincoglionito (…), con l’aggravante di riversarci su Twitter (…) a sghignazzare sui problemi dei tre social (…) su un altro social».
Poiché tutti continuavano a chiedersi perché i tre giganti Facebook fossero «silenziati», ho ideato anch’io una congettura sulla «panne globale»: ho messo in relazione le accuse di una ex-manager dell’azienda contro il fondatore e proprietario Mark Zuckerberg (dicendo che dovrebbe dichiarare «bancarotta morale» perché spia e sfrutta miliardi di persone) con l’invito indirizzato da Facebook a un giudice federale quello stesso lunedì perché respingesse la richiesta del governo Usa di obbligare il gigante dei social media a vendere sia WhatsApp sia Instagram. Alla fine anche la mia congettura, com’era prevedibile, ha perso consistenza: hanno finito per prevalere possibili cause tecniche che, secondo il «New York Times», avrebbero avuto origine in un data center a Santa Clara, in California, al quale i tecnici di Facebook hanno dovuto accedere fisicamente per ripristinare i sistemi. L’incidente ha comunque e definitivamente confermato che Facebook applica controlli e limiti solo di facciata, esponendosi a pericoli che vanno ben oltre l’hackeraggio e la sua reputazione.
Forse perché utilizzatore di social molto anomalo, invece di causare panico la «panne globale» a me ha suggerito qualche riflessione. La prima riguarda Instagram, servizio di informazioni che io seguo e prediligo per un motivo piuttosto banale, per qualcuno magari anche comico: mi trasforma in una specie di versione digitale dell’«umarell», definizione dialettale per quei signori che, con le mani unite dietro la schiena, si mettono a guardare i cantieri seguendo il girare della betoniera o il lavoro degli operai.
Infatti potrei stare ore a srotolare il nastro di immagini e messaggi proposte da Instagram. Quel lunedì notte anche Instagram – che appartiene dal 2012 a Facebook (il fondatore Zuckerberg l’ha acquistato per integrare le sue offerte di connessioni, operazione completata due anni dopo con l’acquisto di WhatsApp) – era bloccato dalla panne informatica. Così, con il flusso di immagini fermo, sull’iPad mi è rimasta fissa una foto che ritraeva assieme due miti del cinema degli anni Sessanta: John Wayne e Gary Cooper. Inutile elencare i ricordi e gli interrogativi che quell’immagine mi faceva rivivere di continuo, a partire dai film western e dal perché non hanno più alcuna attrattiva se rivisti in tv, sino al politicamente corretto di oggi, al razzismo, all’eccidio dei poveri pellerossa (pardon: nativi d’America) ecc. ecc. Inevitabile alla fine approdare al paradosso della nottata: un’immagine fissa, quindi statica, oppure il vuoto e l’impossibilità di connettersi in rete (nel mio caso la foto di John Wayne e Gary Cooper) che ti fa riflettere sulla necessità di difenderti dal caos digitale e dal blob informativo dei social network. E in più la domanda: occorre proprio arrivare a un «black out», quindi a un non servizio che impedisca le connessioni, per spingerci a ragionare sull’uso dei social?
Mi guardo bene dal proseguire, magari azzardando risposte su una vita senza social. Preferisco virare verso un’ultimo pensiero registrato quel lunedì notte. Dopo aver sfogliato un inserto sui servizi bancari digitali, curato dal «Corriere del Ticino», ho immaginato cosa potrebbe capitare se un’analoga «panne globale» arrivasse un giorno a bloccare l’online banking del mondo intero, in barba ai tanti «bla bla bla» oggi sbandierati per promuovere tutto «il fascino del trading online» senza tener conto di imprevisti o della incontrastata rapacità degli hacker. In un battibaleno emergerebbero implicazioni incontrollabili, perdite colossali e responsabilità enormi che riguarderebbe non più la moralità di un’azienda o lo sgomento di miliardi di persone, ma minerebbe l’agire di governi, la credibilità e la sicurezza di istituzioni economiche e blocchi geopolitici. A rafforzare queste mie fisime, alcuni giorni dopo arriva anche il Nobel per la fisica, conferito a uno scienziato italiano che da mezzo secolo cerca di capire e spiegare il caos. Segnale per dire che è giunto il momento di controllare meglio anche il caos dei social?
John Wayne, Gary Cooper e il caos
/ 18.10.2021
di Ovidio Biffi
di Ovidio Biffi