Sono molti, ormai, gli studiosi che denunciano un progressivo indebolimento della democrazia. A giudizio di Giorgio Bocca, ad esempio, da anni si assiste a una graduale degenerazione della democrazia, riconoscibile in tutto il mondo occidentale. E sempre più spesso mi capita di pensare che in queste visioni pessimistiche c’è almeno qualcosa di vero.
Gli stessi partiti politici mettono in rilievo le tendenze negative del percorso democratico quando si scambiano reciprocamente accuse di demagogia e populismo. Populismo: che cos’è? Ne dà una buona definizione lo storico Nicola Tranfaglia quando spiega che il populismo è la capacità di coinvolgere le masse «dicendo loro esattamente quello che vogliono sentirsi dire». Dunque, si tratta di rincorrere le aspirazioni o le pretese delle masse, lusingare l’elettorato, adularlo, promettere soluzioni miracolose: pensandoci bene, è la stessa strategia della pubblicità che oggi domina i mercati. E in effetti, anche la propaganda politica assume sempre di più le caratteristiche della pubblicità: gli slogan – che devono essere avvincenti ed efficaci, come gli annunci pubblicitari – spesso prendono il posto dei discorsi e dei programmi, e questo starebbe a indicare che buona parte degli elettori presta più attenzione alle battute brevi che alle argomentazioni dettagliate; i cartelloni pubblicitari, con i volti dei candidati ritratti nelle pose migliori; i gadget distribuiti generosamente – dalle magliette ai cioccolatini e biscottini, alle creme per le mani, ai «santini», in voga da tempo, ma ora più attraenti grazie al fotoritocco, come si è visto nelle elezioni dello scorso aprile. E poi, naturalmente, occorre che il politico sia sempre collegato in rete, che pubblichi le proprie opinioni nel blog e collezioni tanti «mi piace» dai visitatori del sito.
In fondo, non c’è nulla di assolutamente nuovo in questa prassi di allettamento dell’elettorato: in democrazia la propaganda è ovvia e necessaria. La novità, invece, è data dal tono sempre più pubblicitario delle campagne elettorali e dalla massa sterminata delle comunicazioni propagandistiche. Credo che a questo crescendo contribuisca, oltre al dilagare della pubblicità di mercato, anche un altro fattore. Sappiamo tutti che mai, in nessun’altra epoca della sua storia, l’Occidente ha goduto di un livello di benessere collettivo analogo al nostro; le potenzialità e le comodità offerte dalle tecnologie attuali erano inimmaginabili nella prima e anche nella seconda rivoluzione industriale. Eppure, su questa condizione straordinariamente fortunata aleggiano ombre scure che, mi pare, si vanno moltiplicando: la crescente preoccupazione per i cambiamenti climatici; il rischio d’esaurimento delle risorse energetiche; le incognite sul lavoro di domani, minacciato dalle macchine; la costante impennata dei premi delle casse malati e dei costi della sanità; il crescente divario tra ricchi e poveri e la crescita del numero di persone in assistenza pubblica; l’aumento costante delle spese statali a fini assistenziali; il timore di possibili gravi recessioni economiche; il rallentamento della crescita industriale e la crescente concorrenza di nuove grandi potenze economiche emergenti, dalla Cina all’India; l’ondata migratoria che potrebbe modificare profondamente la cultura occidentale…
Le incognite inquietanti relative al futuro sono molte e chi vi si soffermi prova l’impressione di oscillare fra la terraferma e un dirupo; e di fronte a questi timori è naturale che l’elettorato chieda protezione e sicurezza. È ovvio quindi che il populismo politico si rafforzi grazie a queste paure – come infatti si vede accadere in Paesi europei a noi vicini. Ed è altrettanto ovvio che i media avranno un’influenza crescente sulla democrazia e sulle scelte dei cittadini: la comunicazione di massa può, con uguale facilità, suscitare inquietudini ed esaltare protettori.
Ma c’è un’altra forma di difesa contro le paure, antica quanto la ricerca di un salvatore: il divertimento, la distrazione in cose piacevoli con le quali sia possibile evadere dal presente. Infatti le «industrie dell’intrattenimento» sono in costante aumento: cinema, televisione, musica, sport, teatro, turismo, feste, giochi e spazi di ritrovo tendono a diventare le industrie principali, le più ricercate per un tempo libero che va dilatandosi progressivamente. Come prevede il filosofo Jacques Attali, «tutte le nazioni si organizzeranno intorno a queste due esigenze: proteggere e distrarre».