Ingrati e sottomaiali

/ 25.03.2019
di Paolo Di Stefano

Senza arrivare all’enfasi del Nobel per la Pace, nessuno ci vieterebbe di nutrire un sereno sentimento di gratitudine per Greta Thunberg (6), la ragazzina svedese che ha dato origine alle manifestazioni ecologiste di un paio di settimane fa. Gratitudine e ammirazione. Due sentimenti che sono quasi del tutto scomparsi dai nostri orizzonti e che sono l’opposto del fango che le è stato buttato in faccia dai social, dai politici professionisti dell’insulto e da commentatori improvvisati come Rita Pavone (3–). La quale ha parlato di Greta come di un «personaggio da film horror». Naturalmente non c’è misura nelle parole e ciascuno spara ciò che vuole, senza ritegno: lo straparlare (a vanvera) è uno dei tratti tipici di questi anni. «L’idealismo non è contemplato», ha scritto Massimo Gramellini a proposito del kattivismo diffuso: lo slancio e la generosità sono attitudini relegate subito nella sfera dell’ingenuità o in quella della malafede. 

Sulla gratitudine, consiglio un intervento di Anna Stefi, pubblicato la scorsa settimana nel sito di Doppiozero, dove troviamo alcune citazioni particolarmente utili in un tempo in cui si stenta a dire grazie e si tende piuttosto a esigere la riconoscenza degli altri. Infatti non facciamo che subire l’autoesaltazione di chi ringrazia se stesso per ciò che ha fatto e continua a fare a beneficio del Paese: «gli italiani dovrebbero essere grati a questo governo…» è un tormentone al quale ci siamo ormai pressoché assuefatti, così come ci siamo assuefatti alla sceneggiata dei ringraziamenti reciproci tra alleati di governo, specie dopo una minaccia di crisi. Ma l’autentica gratitudine, come si sa, non è un sentimento autoriflesso.

Lo scriveva Giacomo Leopardi nello Zibaldone, opponendo la riconoscenza all’amore: «Ma la semplice gratitudine è tutta relativa ad altrui, laddove l’amore passione, benché sembri, non è tale, ma è fondata sommamente nell’amor proprio, giacché si ama quell’oggetto come cosa che c’interessa, e ci piace, e la nostra persona entra in questo affetto per grandissima parte». Non siamo più abituati a dire grazie. Eppure Greta lo meriterebbe. Ha dato un esempio trascinante, come dovrebbero fare gli adulti nei confronti dei loro figli: ma venendo meno gli adulti esemplari, ci voleva l’esempio di una sedicenne.

Non siamo capaci di ringraziare (se non noi stessi), anche se la gratitudine è il primo sentimento che nutre un bambino nei confronti della madre (Melanie Klein dixit). E siamo ancor meno capaci di provare ammirazione, che sarebbe un potente motore del mondo e del succedersi delle generazioni, se ammirare il maestro, per il discepolo, equivale a tentare di emularlo. Quest’altro sentimento, che in un mondo normale sarebbe destinato dai più piccoli ai più grandi, dovremmo provarlo serenamente, anche noi adulti, nei confronti di una ragazzina.

«Mi ringrazio», diceva il chirurgo Anemo Carlone, geniale creatura di Mario Marenco (6 tondo tondo), l’attore comico della celebre trasmissione radiofonica «Alto gradimento», morto recentemente. E dovremmo ringraziarlo anche noi, Marenco, per averci regalato un repertorio memorabile di strambi e stralunati personaggi, dal colonnello Buttiglione al generale Damigiani: «Senti caro! Sono il colonnello Buttiglione, sono un tuo superiore!... Ma chi sei. Ma dove sei. Ma cosa fai…».

Dal cosmonauta Raymundo Navarro («Puerca vaca!») sperduto nello spazio siderale a bordo della Capsula Paloma al cleptomane Pasquale Zambuto, che si alzava «storto scocciato» gemendo «songo fottuto». Fino allo «sfrantato» professor Aristogitone, tipico docente pugliese d’altri tempi, frustrato e frastornato dai movimenti del 68, mai sposato e condannato a vivere con la vecchia sorella, zitello in eterno che imprecava contro la scuola. E non esitava a minacciare i «sottomaiali», ovvero i suoi allievi: «Zitti, se no vi stacco la testa e la butto giù a casaccio dalla finestra», oppure, se era di buonumore: «Vi schiaffo 1 sul registro e vi butto fuori». Il suo antagonista-modello si chiamava Verzo ed era il più classico degli studenti romani scansafatiche e cialtrone, pronto, pur di non studiare, a manifestare contro tutto, compreso «er nozzzionismo sfrenato ne’ e scole de l’Angola».

Erano personaggi folli, inadeguati a tutto, un po’ depressi, che contrastavano con quelli irruenti, spesso autoritari e furbastri di Giorgio Bracardi. Ma il più depresso e il più esilarante era il tristissimo poeta Marius Marenco, parodia dello scrittore sperimentale anni 70: «Tu sei un asino / hai la coda. / Quando ti volti indietro / vedi la coda / quando guardi avanti / tu vedi la via / tu vai per la via / tu vai per la tua via / tu sei un asino / tu fai ih / tu fai oh / tu fai ih-oh. / Asino paziente / asino nostro / hai le tue fissazioni / hai le tue delusioni…».