In valle tra lucertole e liane

/ 13.06.2022
di Ovidio Biffi

Ancora una volta vengo omaggiato di un numero della rivista svizzero-tedesca «Landliebe». È l’ormai abituale promozione (settanta palanche per 7 numeri all’anno) per la fornitura a domicilio di cose straordinarie: servizi giornalistici, argomenti e foto del nostro territorio, zaffate di nostalgia e testimonianze quasi ricamate sulle pagine. Insomma, roba sempre più rara: qualcosa che oscilla fra amore per le nostre radici e carezze a valori che non vorremmo mai veder svanire. Torno a parlarne per rinnovare ammirazione verso il prodotto giornalistico e per un paragone di quelli che ogni tanto mi frullano in testa. Stavolta mi limito a cercare qualcosa che leghi quanto «Land-liebe» riferisce dal nord delle Alpi con una personale scoperta fatta di recente in una delle nostre valli. Per il nord il servizio che prendo in esame proviene dall’ampia vallata che, nel canton Nidvaldo, scende dal Titlis verso Stans e il lago dei Quattro Cantoni. Per il sud niente nomi: non vorrei che la localizzazione possa punire qualcuno o creare disturbo a chi comunque già fatica a sopravvivere.

Storia ticinese dapprima. Ancor prima della pandemia, e in periodo turisticamente morto, con mia moglie ho trascorso alcuni giorni nel Locarnese. Non propongo itinerari o escursioni che, grazie ai social, tutti già conoscono. Racconto un episodio capitato dopo aver percorso l’intera valle toccando i due o tre luoghi che frequentavamo con i figli ogni estate. Nel nucleo di un paese scopriamo un negozietto chiuso che in vetrina, oltre a specialità gastronomiche della valle, mostra anche prodotti di artigianato. Ed è su alcuni oggetti di déco murale, statuine di animali da appendere in terrazza, che si sono soffermati i nostri occhi. Il negozio era chiuso, ma è stato facile rintracciare la gerente che gentilmente ci ha permesso di acquistare tre di questi oggetti: una lucertola, una farfalla e una salamandra, con variopinte decorazioni. Avevamo pensato che fossero oggetti, se non proprio «made in val», riconducibili a uno dei benemeriti laboratori protetti attivi nel cantone. Ricordo di aver esternato un elogio per un’offerta che usciva dai soliti clichés turistici. Portate a casa ben impacchettate, al momento di appenderle un’etichetta spunta fra la carta per imballare le tre statuine di terracotta e smonta tutto: la lucertola, la salamandra e la farfalla erano giunte in valle… dal Perù!

Storia nidvaldese, ora. Racconta di una signora, madre di tre bimbi e moglie di un allevatore di Ennet-moos. Lei è anche la fioraia della borgata e nel suo «Lädeli» offre una serie di composizioni in vasi e altri contenitori decorati da lei con speciali rivestimenti. I suoi vasi sono di plastica ma la fioraia crea un «tocco rurale» (la rivista mostra come bisogna procedere) facendo ricorso a particolari liane – credo siano vitalbe, colte nei boschi, oppure essiccate e poi macerate nell’acqua – che usa, oltre che per rivestire i contenitori rotondi, anche per contornare i lati delle cassette in cui colloca non orchidee o fiori esotici, ma umili piantine di fiori di campo, come fiordalisi e aquilegie, che in città abbelliranno balconi o giardini. L’offerta nidvaldese è sostanzialmente diversa da quella fantozziana «scoperta» in una nostra valle e, mettendole a confronto, sarebbe poco corretto pensare di invitare i negozietti di «souvenir» turistici a bandire oggetti di artigianato di paesi del Terzo Mondo.

Tuttavia è innegabile che dal «Lädeli» di Ennetmoos giunge l’invito a valorizzare maggiormente il grande potenziale delle nostre valli e della civiltà rurale in genere, magari per aggiungere un po’ di pervicacia al nostro spirito imprenditoriale. Ed è sorprendente scoprire che gli stessi orientamenti trovano riscontro anche nell’attualità culturale: c’è la val di Blenio premiata in Svizzera romanda per l’edizione francese de La pozza del Felice di Fabio Andina e rievocata da Sara Catella ne Le malorose (Casagrande ed.); e c’è la Val Colla palcoscenico di un originale e stravagante universo di uno dei libri più «cult» del panorama editoriale italiano: Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino (ed. Minimum/Fax), primo romanzo di Davide Rigiani.