In vacanza si apre la trappola fantozziana

/ 10.07.2017
di Luciana Caglio

La notizia della morte di Paolo Villaggio ha raggiunto molti italiani, e ticinesi (una volta tanto affratellati), sotto l’ombrellone, cioè mentre vivevano la condizione, oggi inevitabile, del vacanziero, di cui proprio il comico genovese aveva denunciato, con un linguaggio apparentemente grottesco, le derive fantozziane, guai invece reali. Inventando il ragionier Ugo Fantozzi, simbolo delle umiliazioni impiegatizie, aveva, infatti, intuito, anzi presagito, quanto fosse importante anche l’altra faccia del personaggio: quella del lavoratore alle prese con le tentazioni del presunto tempo libero. Dove, e qui sta l’aspetto più impietoso del fenomeno, il travet, sganciato dagli obblighi del subordinato, diventa finalmente padrone di se stesso: mettendosi alla prova in attività che dovrebbero assicurargli successo, piacere, autostima. E, invece, rimane l’imbranato di sempre, afflitto dalla iella del perdente a vita, che comunque non ce la fa. Anzi, l’ambito dello sport, dello svago, della mondanità si rivela ancora più insidioso. Eccolo, allora, arrancare su un campo da tennis, nel singolare, giocato nella nebbia, contro il collega Filini, scena ormai da manuale cinematografico e sociologico. O, ancora, ultimo predestinato nella gara ciclistica e sugli sci, e incapace persino di sistemare la sdraio sulla spiaggia. Insomma, in vacanza, più che mai, sulle sue giornate, che sono poi le giornate di tutti noi salariati in ferie, incombe l’ormai famosa nuvoletta. Entrata nel linguaggio corrente per definire, al di là della meteorologia, le incognite delle ferie.

In verità, proprio incognite, non sono. Appartengono, anzi, a un repertorio di situazioni, disagi, delusioni che accompagnano, in pianta stabile, le esperienze di vacanzieri e weekendisti che, quegli inconvenienti, se li vanno a cercare. Del resto, ne sono puntualmente informati da bollettini ufficiali, che annunciano persino il peggio: code sulle autostrade, attese agli ingressi dei musei, spiagge affollate, prezzi alti. Con ciò si continua a partire. Sfidando le minacce, queste sì imprevedibili del terrorismo. Rimangono, invece, lettera morta i commenti ironici e moralistici che, negli ambienti intellettuali un po’ snob, si dedicano al turismo di massa. Già i titoli di certi saggi sono indicativi: L’idiot du voyage, dell’antropologo Jean-Didier Urbain, L’incontro mancato del sociologo Marco Aime, «Ulisse resta a casa», come raccomandavano, sin negli anni 80, Fruttero e Lucentini. Come dire, la figura del turista, e del vacanziero in particolare, non gode buona fama, sui piani alti della cultura che conta. Dove, persino, Paolo Villaggio ha incontrato ostacoli, lungo un percorso a zig zag fra umori contrastanti, prima di diventare, anche grazie a Fellini, una sorta di eroe nazionale alla rovescia, in cui gli italiani si sono riconosciuti.

Non si tratta, però, di un’esclusiva della Penisola. Il ragionier Fantozzi, in tenuta da spiaggia con il costume «ascellare», goffo e sfortunato, aveva avuto, infatti, un predecessore, diverso ma fondamentalmente paragonabile, nel protagonista delle Vacances de Monsieur Hulot, film ideato, diretto, interpretato da Jacques Tati, nel 1953. Anche qui, compare un’esilarante partita di tennis: che abbia poi ispirato Villaggio? Chissà... Ma, diversamente dal collega italiano, questo vacanziero francese non parla. Si esprime a gesti, sfrutta i rumori dell’ambiente, la porta della sala da pranzo che cigola, denunciando la modestia dell’hotel, i fuochi d’artificio, simbolo di una festa che infastidisce, al pari del rombo dei motori. E così, il personaggio, senza parole, la dice lunga. E non parla neppure Rowan Atkinson, il comico inglese, che ha dato vita a Mister Bean, attraverso una serie di ruoli «fantozziani». Cambiano i luoghi, gli ambienti, gli oggetti, ma non il vissuto reale di un impiegato, costretto alla mediocrità e alla sfortuna, anche nelle sue Holidays: quando, nel vagone ristorante del Train Bleu, diretto verso la Costa Azzurra, affronta il primo guaio: alle prese con un piatto di crostacei, inespugnabile. Una sconfitta, se si vuole banale, com’è di regola nei destini fantozziani, dove il ridicolo ha sempre la sua parte.