Al primo momento, sembrò un’assurdità: l’inaccettabile sgarro al rispetto delle priorità, che regola i comportamenti individuali assicurando una convivenza civile. Si sta parlando della richiesta di adeguare la somministrazione dei vaccini alle esigenze dei vacanzieri. Cioè, se un cittadino cambia domicilio, spostandosi in una località di mare o di montagna, per trascorrere le ferie, dovrà trovare, pure lì, la possibilità di vaccinarsi o di ricevere il richiamo. Quindi, non sarà lui a cambiare la data della vacanza, bensì il complesso apparato di un intervento sanitario a seguirlo, come fosse una valigia.
Si tratta di episodi isolati, ma non troppo, segnalati in Italia, dove hanno suscitato, nei giornali e nei social, reazioni di condanna morale e anche d’ironia nei confronti di un vezzo tipicamente nazionale: qual è, appunto, il farsi i fatti propri, magari a costo di quelli altrui. Tuttavia, dopo la condanna, grazie alla capacità anch’essa italiana di relativizzare, doveva arrivare una sorta di assoluzione. In fin dei conti, l’idea di un servizio vaccini ambulante non era, poi, irrealizzabile. Persino il generale Figliuolo, dall’alto della sua piumata autorevolezza, si è dichiarato disposto ad assecondare, in qualche modo, la richiesta dei vacanzieri. Tanto più che, dal canto loro, svolgono un ruolo salvifico per l’industria turistica.
Ma, al di là degli auspicati effetti economici, questa voglia di vacanze, riemersa dopo la tregua pandemica, esprime qualcosa di più profondo e inalienabile, che ci appartiene in pianta stabile. Ed è il bisogno fisico e mentale, concreto e immaginario di andare, cambiare, scoprire. Sia per necessità di sopravvivenza, attraverso i movimenti migratori, costante storica, sia per un desiderio di conoscenza culturale, scientifica, un tempo privilegio esclusivo. Spettava ai giovani della nobiltà inglese, con la tradizione del Grand Tour, che, già nel XVII secolo, li portava sui siti archeologici, in Grecia e in Egitto.
Itinerari, adesso accessibili alle folle mobilitate dal turismo di massa. Di cui si è diventati, tutti quanti, cultori e vittime. Si godono i vantaggi dei voli low-cost, dell’efficienza protettiva dei villaggi turistici, rischiando, però, di cadere nella trappola dell’eccesso. Al punto, in casi estremi, di fare del viaggio un permanente compagno di vita. Per certi nostri concittadini la vacanza, e quindi il viaggio, rappresenta una nuova forma di normalità. Mentre la sedentarietà, il lavoro, la casa sono scivolati in secondo piano.
Esasperazioni maniacali a parte, sta di fatto che con l’avvento del diritto alla vacanza, sancito sindacalmente, e dei trasporti veloci, si è aperta un’era, contrassegnata da nuovi usi, costumi e persino luoghi. Per viaggiare, ci si deve vestire diversamente. L’aveva presagito Coco Chanel (di cui ricorre il 50.mo della scomparsa) creando abiti di maglia, comodi e facili da sistemare nelle valigie. Per trascorrere le ferie, servono alberghi, impianti sportivi, spiagge attrezzate. Anche il paesaggio, insomma, cambia, e non solo in meglio. Il cambiamento concerne, non da ultimo, i contenuti stessi di viaggi verso mete lontane, dai nomi affascinanti. Cito, per esperienza personale, Samarcanda: che, in definitiva, mi deluse. Colpa mia o di una mitizzazione eccessiva?
In ogni caso, virtù o vizio che sia, il viaggio ci ha contaminati, al pari di un virus, privo però di vaccini. E, quindi, ci terrà compagnia, più che mai, nel dopo Covid, quando, secondo i moralizzatori di turno, saremo più saggi, capaci di rinunciare a svaghi dispersivi, persino nocivi dal profilo ambientale.
Una causa, portata avanti soprattutto dai giovani. Che, però, lanciano anche segnali in direzione opposta. Basta ascoltare le dichiarazioni dei partecipanti ai giochi televisivi che, a proposito di un’eventuale vincita, parlano sempre di un nuovo viaggio, verso una destinazione lontana, che racchiude l’ignoto.