Adesso si chiamano single. Il termine inglese ha cancellato quella connotazione negativa, di perdenti e rifiutati, che le vecchie definizioni di scapolo, scapolone, zitella sottintendevano. Ma non è un eufemismo. Rispecchia una condizione anagrafica reale che, ormai, appartiene al nostro costume. Dal suo osservatorio linguistico, Ottavio Lurati aveva registrato la parola, per la prima volta, sulle pagine di «Repubblica», nel giugno dell’87: da casi isolati i single stavano, allora, diventando una presenza sempre più numerosa e visibile, di cui tener conto sul piano economico. E proprio quello turistico ha saputo captare le esigenze di una fascia di clienti promettenti, una nuova risorsa. Liberi da legami familiari vincolanti, indipendenti, spesso con buone disponibilità finanziarie, i single si sono, infatti, rivelati consumatori assidui, addirittura patiti di vacanze e viaggi. Le agenzie si sono date da fare creando un settore ad hoc: mete, itinerari, programmi di attività, destinati a chi parte da solo, soprattutto alle donne che, nella categoria, sono in maggioranza, e con richieste specifiche. A cominciare dalla sicurezza, che non va intesa come un bisogno di protezione, ma di libertà. Da qui il successo, negli ultimi decenni, di un settore dell’ospitalità turistica cosiddetto women-friendly. Propone alberghi, b&b, ristoranti, centri sportivi, indica nazioni, città, quartieri di metropoli, tutti luoghi dove le vacanziere sole possono muoversi in un ambiente accogliente, al riparo da incontri indesiderati. Addirittura, in hotel vietati ai maschi.
Con ciò, le single non vanno scambiate per misantrope, asociali o scorbutiche. Per molte di loro, tuttavia, l’obiettivo non è far conoscenze, incontrare un possibile compagno della vita. Hanno la precedenza lo sport, il wellness, le escursioni e, dopo i 40, le visite alle città d’arte e ai musei.
Non escludono, in assoluto, la vacanza di gruppo organizzata, però cercano di adattarla a loro uso e consumo. Da condividere, insomma, con altri pari, cioè persone sole, evitando di diventare minoranza, in un gruppo tutto coppie e famiglie con bambini. Perché, allora, il rischio solitudine si concretizza: nella sala da pranzo, affollata di rumorose famiglie, la single, o il single, finisce in un angolo. I tedeschi lo chiamano Katzentisch, il tavolino in disparte, che spetta a un personaggio, diventato simbolico.
È il tizio perseguitato dai disguidi e dalle umiliazioni, tipici della vacanza non riuscita, situazione grottesca che ha ispirato commedie e film spassosi. Fra cui un vero capolavoro del genere: Les vacances de Monsieur Hulot, diretto e interpretato da Jacques Tati, nel 1953. Per nulla invecchiato, sempre godibile, tanto più nell’era delle ferie che, da conquista, si sono trasformate in obbligo, in altre parole si godono e si subiscono.
L’aveva preconizzato lo storico americano Paul Fussell, parlando di «post-turismo», in cui si manifestano «sentimenti di noia, delusione irritazione, persino rabbia», provocati dalla «standardizzazione». L’argomento, del resto, non è nuovo. Appartiene al repertorio delle denunce dei disagi e delle incongruenze dell’epoca, ma rimane un monito senza seguito. Si continua, infatti, a partire verso mete determinate dagli eventi politici e che, poi, fanno moda. È il caso dell’Islanda, della Norvegia, del Canada, della Siberia, il nord in generale, o, invece, il sud estremo, Terra del fuoco, Patagonia, o, a est, la Mongolia. Si tratta di spostamenti, affidati ad agenzie, specializzate nel genere «avventura tutelata», che aprono orizzonti insoliti a gruppi di viaggiatori curiosi, ma non intrepidi. D’altronde, già il fatto di essere in gruppo assicura protezione.
Ma non mancano, infine, i viaggiatori che rifiutano questi servizi e partono per conto proprio, mettendo alla prova la loro autonomia a contatto diretto con realtà anche ostili. Si potrebbero considerare gli eredi dei giovani aristocratici inglesi che, nell’800, compivano il Grand Tour, in Europa sulle tracce delle civiltà classiche. O i successori dei geografi e degli etnologi, impegnati nella scoperta e nell’identificazione di terre ancora ignote. Ma, oggi, in un mondo, tutto svelato e accessibile, la scoperta concerne strettamente il proprio io.