Seattle, sulla costa pacifica degli Stati Uniti, non è tra le mete abituali del viaggio americano, ad eccezione di qualche nostalgico del grunge, il genere musicale lanciato negli anni Ottanta da Kurt Cobain e dai Nirvana. E tuttavia, se mancano le consuete attrazioni turistiche legate alla storia o all’arte, a Seattle puoi capire molto del nostro presente. Qui due compagni di scuola, Bill Gates e Paul Allen, hanno fondato Microsoft. Qui Jeff Bezos ha aperto la prima sede di Amazon. Qui è stato inaugurato il primo Starbucks.
Sempre a Seattle, già nel 1916, Boeing comincia a progettare i suoi primi aerei. E nel 1966 la società costruisce il più grande stabilimento industriale del mondo a Everett, quaranta chilometri più a nord. In quell’anno Pan American commissiona a Boeing venticinque Jumbo Jet 747, impegnandosi a pagarli 525 milioni di dollari (circa cinque miliardi di oggi). È una scommessa al buio. In soli ventotto mesi cinquantamila tra ingegneri, meccanici e amministrativi (saranno chiamati gli incredibili) progettano e realizzano un aereo mai visto prima, a cominciare dalle dimensioni: settanta metri di lunghezza, sessantacinque di apertura alare, la coda alta come un palazzo di sei piani.
Nel 1965 i 25 milioni di arrivi internazionali del 1950 sono diventati 115 milioni e l’Assemblea delle Nazioni Unite proclama il 1967 Anno internazionale del turista. Ma si cerca invano un aereo adatto alle dimensioni crescenti e alla nuova geografia del turismo internazionale.
Poco prima della Seconda guerra mondiale per i voli a lungo raggio ancora si puntava su giganteschi idrovolanti, come il Boeing 314 Clipper, forse l’aereo più lussuoso di ogni tempo. Gli idrovolanti tuttavia erano lenti, costosi e richiedevano piloti molto esperti. Anche il loro principale vantaggio, ovvero la possibilità di decollare e atterrare in qualunque specchio d’acqua, divenne meno interessante quando la Seconda guerra mondiale lasciò in eredità numerose lunghe piste utilizzate dai bombardieri pesanti.
Alla fine del conflitto i primi turisti internazionali attraversano l’Atlantico a bordo dell’elegante quadrimotore Lockheed L-049 Constellation, affettuosamente soprannominato Connie; trasporta però solo quaranta passeggeri, alla velocità di quasi cinquecento chilometri all’ora. In alternativa si impiega un altro quadrimotore, il Douglas DC-4. Vennero poi i primi aerei a reazione, il DC-8 e il Boeing 707.
E tuttavia, sin dal suo primo volo nel 1969, il Boeing 747 fece sembrare superati tutti questi modelli, ancora legati a soluzioni tecniche sviluppate nella Seconda guerra mondiale.
Il nuovo gigante dei cieli era spinto da quattro potenti motori a reazione e poteva trasportare oltre cinquecento passeggeri, riducendo radicalmente i costi e spianando la via al turismo internazionale di massa. La cabina di pilotaggio era collocata sopra il ponte principale, disegnando una caratteristica gobba nel profilo, per lasciare spazio a un portellone anteriore nei voli cargo. E dietro la cabina fu ricavato un bar riservato ai passeggeri di prima classe, raggiungibile con una scala a spirale.
Tra il 1970 e il 2017 oltre tre miliardi e mezzo di passeggeri hanno volato su questo aereo, con pochi incidenti di rilievo, anche se il 27 marzo 1977, nel peggiore disastro della storia dell’aviazione, proprio due 747 si sono scontrati sulla pista di Tenerife, consumando tra le fiamme 583 vittime.
Ora il tempo della «regina dei cieli» si è compiuto, anche se quasi cinquecento esemplari sono comunque ancora in servizio e ci resteranno per un pezzo (il più famoso naturalmente è l’Air Force One, l’aereo del presidente degli Stati Uniti). Poche settimane fa l’ultimo esemplare di Boeing 747 prodotto, il numero 1574, è stato consegnato nella versione cargo.
Si chiude un’epoca e inevitabilmente ci si chiede se siamo di nuovo a un punto di svolta nello sviluppo dell’aviazione civile. Di certo nel tempo del cambiamento climatico servono aerei più efficienti, di dimensioni minori, con due soli motori. L’erede designato, il Boeing 777, è ancora troppo grande. Ma forse gli adattamenti non bastano. Come in quel lontano 1966, c’è bisogno di un’idea radicalmente nuova, combinando «matematica, estetica e un’intera visione geopolitica del mondo» (J.G. Ballard). I cieli attendono la loro nuova regina.