Nella storia della cultura occidentale la Memoria è più glorificata dell’Oblio. Per spiegare la funzione della memoria storica, quella che non riguarda i fatti della nostra vita o le cose che abbiamo letto, ma quello che è accaduto prima che nascessimo, Umberto Eco si rivolgeva a un nipote con questo paragone: «Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima… Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove».
La memoria storica, appunto, svolge la funzione di collocare i soggetti nel tempo della storia. Non tanto in quanto «conoscenza» della storia, ma in quanto nesso vissuto, significativamente ed emotivamente carico, fra i soggetti e vicende che trascendono la loro singolarità. «La memoria è tesoro e custode di tutte le cose». Nel De Oratore, Cicerone afferma che la storia è «testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita»: la memoria è conoscenza di un passato che ci permette di vivere e interpretare il nostro presente con maggiore consapevolezza. Tenere viva la memoria di ciò che è passato è fondamentale per valorizzare le esperienze vissute: si pensi all’utilità della trasmissione orale nella conservazione di un patrimonio culturale che sarebbe andato altrimenti perduto, quello stesso patrimonio che sarebbe confluito in due capolavori – Iliade e Odissea – così importanti da oscurare la lunga tradizione orale che li aveva preceduti.
Eppure, la sapienza greca teneva in eguale conto il «seggio della memoria» e il «seggio dell’oblio», due posizioni parimenti iniziatiche: la sopraffazione dell’una sull’altra avrebbe causato dissesti, avrebbe turbato preziosi equilibri. Una sorta di nebbia avvolge l’Oblio e da sempre abbiamo assistito alla lotta sorda che esso combatte per riscattare la sua fama compromessa.
Ogni tanto, l’Oblio reclama il suo ruolo riparatore, la sua funzione pacificatrice. Come scrive Nietzsche, «è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità: il poter dimenticare…». Bisogna saper dimenticare non soltanto le sopraffazioni degli altri ma il proprio scontento, in modo che si riannodi incessantemente il filo della vita comune: questa è la politica. Ma una nuova ansia, finora sconosciuta, sembra stringere l’uomo d’oggi. L’incessante cascata di informazioni e la continua sollecitazione alla stimolazione dei media generano una duplicazione continua della realtà. L’abbondanza di informazione e di conoscenza non genera più cesure, tagli, pause. L’indistinguibilità è l’unico carattere di internet: il senso della comunicazione si annichilisce per l’eccesso di circolazione, di liquidità dei segni.
Non si è mai parlato così tanto di oblio, di «diritto all’oblio», da quando esiste il web. Cosa dobbiamo fare con i vecchi tweet? È una domanda che ritorna ogni volta che una persona acquisisce fama e, per ricostruirne il carattere e i trascorsi, non si domanda si vanno a scorrere i social alla ricerca di qualcosa di imbarazzante. Il diritto all’oblio digitale, si può definire come la possibilità di controllare le proprie tracce e la propria sfera (privata e pubblica) online.
Nel 1989 Pietro Citati scriveva: «La musa dei nostri giorni non è la memoria, ma la Dimenticanza; e il solo edificio che possiamo contrapporre alle cattedrali della memoria, ricostruite con tanta intelligenza e passione da Francis Yates, è una grande cattedrale della dimenticanza creatrice: la Recherche di Proust. Non possiamo più ricordare. Portiamo troppi pesi – un passato troppo lungo, di cui conosciamo quasi ogni vestigio; un futuro che ogni giorno ci sforziamo di prevedere; un presente che ci schiaccia con la quantità delle informazioni. Nemmeno l’universo contemplato dai telescopi, con l’intreccio delle sue galassie, basterebbe a comprendere la folla innumerevole dei ricordi. Così ogni giorno dimentichiamo». Come i leggerissimi e ilari eroi di un racconto di fantascienza, attraversiamo il tempo di internet con troppe tracce personali e con il pressante desiderio di volerle cancellare.