In compagnia dei supplenti

/ 19.04.2021
di Luciana Caglio

In mancanza di meglio si ricorre a loro. E il meglio, da oltre un anno, è la normalità perduta, che ci ha privato dei contatti reali con familiari, colleghi, amici, conoscenti, vicini di casa, insomma le persone in carne e ossa. Costringendoci a rivolgersi, appunto, ai supplenti. Il termine, si legge nel Dizionario Treccani, definisce chi svolge, provvisoriamente, la funzione del titolare in carica, e ne diventa il sostituto, o usando un peggiorativo, il tappabuchi. Appellativi a parte, si tratta di un ruolo difficile da gestire. Per forza di cose, coglie impreparati, esponendo al rischio di strafare e di abusare del proprio inatteso potere. Situazioni insidiose che hanno ispirato scrittori, con propositi diversi: polemico il tedesco Rolf Hochhuth, nel ’63, con Il Vicario, che denunciava le ombre del sottobosco vaticano, e amabilmente ironico l’inglese David Nicholls, con il recente bestseller Il sostituto. Passando dalla finzione letteraria alla realtà, eccoci di fronte allo spettacolo quotidiano, in corso attualmente su gran parte delle scene governative, Berna e Bellinzona comprese. Sotto l’urto del Covid, politici, autorità di polizia, responsabili della sanità, esponenti delle più svariate categorie professionali, sindacalisti si sono trovati in balia del rischio di raccontare e decidere tutto e il contrario di tutto: aprire e chiudere, proibire e concedere, punire e rassicurare, far pagare e risarcire, promettere e non mantenere. Alla stregua, insomma, di supplenti maldestri, che commettono errori e gaffe.

Ma, intanto, a furia di vederli, attraverso le immagini virtuali, che ci arrivano sugli schermi del computer e della televisione, anche a loro abbiamo fatto l’abitudine. Grazie alla tecnologia digitale funzionano la scuola, con la didattica a distanza, i servizi pubblici essenziali, le attività professionali negli uffici e nelle redazioni, quella di «Azione» compresa. Ma non soltanto: al di là dell’uso utilitaristico, questi strumenti, di cui personalmente continuo a essere un’utente impacciata, sono riusciti a colmare il vuoto di un isolamento totale. Popolandolo con personaggi che, ormai inevitabilmente, ci tengono compagnia. Basta accendere il televisore, in qualsiasi momento e su qualsiasi canale, svizzero o italiano, e li ritrovi. Non si tratta solo dei politici, in particolare dei ministri della sanità, bensì di funzionari, tipo medico e farmacista cantonale, cui è spettato il meritato quarto d’ora di notorietà, preconizzato da Andy Warhol. Ma queste comparsate ci hanno riservato anche sorprese. Insomma, è stata un’autentica rivelazione: sono venuti allo scoperto virologi, epidemiologi, infettivologi, immunologi, e via enumerando specialisti e ricercatori d’ogni sorta. E, anche nei loro confronti, la ribalta mediatica è stata una prova irremissibile. Si deve, insomma, parlare di vincenti e perdenti sul piano della comunicazione. Sta di fatto che, persino nell’ambito scientifico ci si muove fra contraddizioni e confusioni. Ciò che, in definitiva, contribuisce a ravvivare uno spettacolo chiamato a sostituire un vissuto quotidiano, relegato ai ricordi.

A tutto ciò, come detto, ci si è abituati. Tanto da considerare una quotidianità affidata al lavoro a distanza, ai contatti tutt’al più telefonici, agli svaghi dei giochi televisivi, alla ginnastica praticata in casa, ai concerti soltanto ascoltati, ai tentativi del fai da te artigianali o culinari, una nuova normalità. Anzi un modello di comportamenti autonomi e virtuosi destinato a sopravvivere alla pandemia, secondo le visioni dei moralisti di turno. Chissà se avranno ragione, se la svolta verso un miglioramento universale avverrà. Intanto, abbandonando la sfera dei massimi sistemi, basta uscire di casa, incontrare gente, per registrare ben altri umori. La voglia di contatti fisici, di chiacchiere fra persone in carne e ossa, per concludere al più presto la stagione dei supplenti, accettati in mancanza del meglio che deve pur tornare.