In cerca di scappatoie: ma come?

/ 08.02.2021
di Luciana Caglio

Un anno fa, per la precisione domenica 23 febbraio, a Bellinzona il corteo del Rabadan, animato da 2000 comparse, attirò un pubblico valutato a 25’000 spettatori. Cifre da record che confermavano il successo di una tradizione, capace di rinnovarsi, grazie all’inventiva di instancabili volontari e, non da ultimo, terreno di sfida per i politici. Ma, oltre ai Rabadan, Nebiopoli, Re Naregna, ricorrenze storiche celebrate in giorni precisi, il carnevale doveva allargarsi a dismisura, nel tempo e nei luoghi. Insomma, una proliferazione di festeggiamenti, fra Capodanno e Pasqua, sotto innumerevoli tendoni, disseminati nelle nostre periferie, che è sfociata in un fenomeno diffuso. Qualcosa di tipicamente ticinese, da paese dell’iperbole, secondo l’impareggiabile definizione di Francesco Chiesa. Ciò che non ha mancato di sorprendere i nostri vicini d’oltre frontiera. Capitava di sentirsi dire: «Come mai, da voi, è sempre carnevale?» Al che era facile ribattere: «È come, da voi, con Sanremo, se ne parla tutto l’anno».

Del resto, il paragone non è campato in aria. Dimensioni a parte, si sta parlando di manifestazioni appartenenti allo stesso filone, cosiddetto nazionalpopolare, o per noi cantonpopolare che, con i suoi prodotti, appaga richieste di svago primarie: il carnevale con le baldorie in maschera, Sanremo con le canzoni orecchiabili e la sfilata di divi in abiti scintillanti. Si potrebbe, poi, citare un’altra specialità nostrana: gli eventi che riempiono, sino all’inverosimile, le nostre estati. Ben 500 a Lugano in versione «marittima».

Facili ironie a parte, sta di fatto che queste iniziative hanno successo perché gente attira gente. Il comune denominatore, in tutto ciò, è appunto l’incontro con gli altri: voluto, goduto pienamente, o, invece, filtrato, rifiutato, addirittura colpevolizzato. Fino a ieri, cioè febbraio 2020, rappresentava una scelta a nostro ampio uso e consumo. C’era chi ne approfittava per coltivare il piacere della compagnia, del gruppo, della folla, tipo riunioni familiari allargate, cene fra coetanei e colleghi, viaggi organizzati, vacanze a ferragosto, weekend a Venezia o Barcellona, e via enumerando i momenti e itinerari battuti. Per contro, c’era chi preferiva una solitudine elitaria, con cui sfoggiare la capacità di farsi i fatti propri nel miglior modo.

Tutto ciò, come detto, prima che l’oggi cancellasse, uno dopo l’altro, gli appuntamenti, vicini o lontani, dove la presenza umana era la materia prima insostituibile, imponendoci una solitudine forzata. Che mette insidiosamente alla prova. Magari, favorirà i grandi talenti creativi, in grado di captarne i messaggi segreti. Ma, intanto, priva il comune cittadino di abitudini e contatti, banali e, adesso, rivalutati. Per quel che mi concerne, il caffè al bar, il pranzo in trattoria, la capatina in libreria o nella boutique per vedere i colori della primavera, o il film domenicale all’Iride e i concerti al LAC. C’è però dell’altro: durante la forzata prigionia, può maturare persino un diverso giudizio, un ravvedimento, nei confronti di situazioni e comportamenti, in precedenza evitati. A cominciare dai carnevali, mai frequentati, di cui adesso, scopro il valore consolatorio di scappatoia. Che spetta del resto a tutta una serie di momenti e luoghi, non frequentati, perché affollati, rumorosi, confusionari. Come centri commerciali la domenica, concerti pop all’aperto, spettacoli di fuochi d’artificio, grandi finali di campionato negli stadi, ecc... E al novero delle manifestazioni, che, adesso, mi mancano devo aggiungere persino il Meeting di Davos, dove i grandi e famosi, in persona, da Trump a Greta, discutevano sulle sorti finanziarie e ambientali del mondo.

Ora, accumulandosi, le privazioni di semplici abitudini quotidiane, che implicavano, comunque, il rapporto con l’altro, sfociano, sempre più spesso, in derive inquietanti. Con il Covid 19, si diffonde un contagio parallelo in forme di disagi psichici, di smarrimenti, a cui rimediare ricorrendo addirittura a pratiche paranormali, al limite della stregoneria. E che dire, infine, dell’esplosione di violenza giovanile registrata dalle nostre cronache? Ci si deve arrendere all’evidenza. Mancano le scappatoie, abbinate alle normali libertà, che svolgevano una funzione in apparenza banale, in realtà preziosa. Ci facevano stare insieme.